La prima vittima dello squadrismo a Monfalcone è l’anarchico Giuseppe Nicolausig

Un secolo fa le prime vittime del fascismo a Monfalcone – fuori dal Cantiere navale – furono l’anarchico Giuseppe Nicolausig e Dioniso Rizzardini. Gli anarchici a Monfalcone furono i primi ad affrontare fisicamente il fascismo montante pagando a prezzo anche della vita. Questa è la storia di quel brutale assassinio. A distanza di cento anni gli anarchici sono ancora presenti nella città dei cantieri e serbano memoria di quel tempo. Necessario uno spazio nella città dei cantieri a ricordo di questa pagina della storia.

Monfalcone: via IX giugno nel 1921

Tra il 1920 e il 1921 continui sono gli attacchi dei fascisti contro le organizzazioni operaie a Monfalcone che minano il forte attivismo che aveva caratterizzato l’attività delle maestranze fino a quel momento. Già nell’agosto 1920 l’attacco degli squadristi si dirige contro le sedi operaie e i lavoratori di Monfalcone. In risposta a settembre c’è uno sciopero antifascista durante il quale alcuni operai vengono aggrediti.

L’11 febbraio 1921 la Camera del lavoro di Monfalcone nel quartiere di Panzano viene attaccata e data alle fiamme. A guidare l’attacco Francesco Giunta che pochi mesi prima, il 13 luglio 1920, aveva battezzato lo squadrismo fascista dando fuoco al Narodni Dom a Trieste. A Monfalcone al fianco di Giunta c’è Aurelio Barbettani, toscano come lui, che si distingue per ferocia. Nel rogo della Camera del lavoro bruciano anche copie dell’allora quotidiano anarchico “Umanità Nova”. Infatti il circolo libertario “Caffè Esperanto”, costituitosi nel giugno 1920 con buon numero di aderenti, avrebbe trovato ospitalità nella sede delle organizzazioni operaie. Socialisti e anarchici, nonostante le differenze e i contrasti, collaboravano in molte occasioni.

Con difficoltà in questo clima continuano le attività che animano il movimento operaio. Non ci sono solo le organizzazioni sindacali e politiche, ma anche una moltitudine di gruppi operai attivi nel campo sportivo, teatrale, musicale, esperantista, escursionista e molto altro ancora.

Inizio ottobre 1921. L’autunno è alle porte. È il 7 ottobre quando vengono assassinati due operai del Cantiere: Giuseppe Nicolausig e Dioniso Rizzardini. Poco dopo le 22 i due giovani operai (20 anni il primo, 18 il secondo) stanno rincasando, reduci dalle prove dell’orchestra con il maestro Laterza di cui fanno parte, così come sono membri del Circolo Giovanile Socialista prima e Comunista poi. Vengono colpiti a bruciapelo da cinque revolverate e stramazzano al suolo, caduti in una imboscata tesa da due individui che forse li hanno pedinati.

L’assassino avviene sulla strada che conduce da Panzano verso il centro cittadino. Era appena stata rinominata via IX giugno, per ricordare la data dell’ingresso delle truppe italiane nella città solo sei anni prima. All’altezza del numero 512, di fronte alla ex conceria per pellami Kaufmann, vengono colpiti. È all’inizio della via verso il canale Valentinis – grosso modo nel luogo in cui c’era il bar Buzz fino a non molto tempo fa – che Nicolausig muore sul colpo. Rizzardini spira subito dopo mentre viene trasportato verso il vicino ospedale da dei passanti che sentono gli spari e le sue richieste di aiuto.

Nonostante i due assassini riescano a sfuggire grazie alla complicità delle tenebre, subito è chiaro che si tratta di un delitto politico con i fascisti come protagonisti. Il locale Fascio di combattimento – dove secondo il quotidiano comunista triestino “Il Lavoratore” i due assassini si sarebbero rifugiati – fa affiggere un manifesto in cui prende le distanze dall’accaduto e anzi minaccia di farsi giustizia per le “calunnie” che attribuiscono a loro il truce delitto.

I nomi che vengono fatti dalla stampa come possibili autori del delitto sono quelli dei due squadristi Soro e Pozzati. Soro – il nome è sconosciuto – sarebbe stato un ex militare sardo fermatosi a Monfalcone alla fine della guerra accusato di essere uno sfaticato dedito all’alcol. Il quotidiano fascista fondato da Francesco Giunta “Il Popolo di Trieste” – secondo per diffusione a livello nazionale con le sue 40.000 copie giornaliere – lascia spazio all’emiliano Amedeo Pozzati per un articolo difensivo in cui replica a “Il Lavoratore” concludendo con queste parole: “i comunisti conoscono solo i miei cazzotti e le mie «manganellate»”. In effetti Amedeo Pozzati avrebbe avuto una carriera da fascista fanatico e violento conclusa nella primavera del 1944 quando, entrato nella milizia filonazista della Decima MAS, muore a quarant’anni nel corso di un bombardamento alleato sui cantieri di Monfalcone.

Dei due giovani assassinati Giuseppe Nicolausig di Mossa ha sentimenti libertari.

Rizzardini, nativo di Pola, è un ragazzo che vive appartato e si dedica nelle sue ore libere esclusivamente allo sport.

Quando si sparge la notizia del delitto, tutta la città, ma specialmente la classe operaia, ne rimane fortemente impressionata. Le maestranze del Cantiere Navale Triestino, dove sono occupati i due giovani, abbandonano il lavoro verso le 9 in segno di protesta.

La Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro, riunitasi d’emergenza nella mattinata, delibera di invitare tutta la classe lavoratrice a manifestare il proprio cordoglio per le vittime ed il suo sdegno contro l’infame delitto con l’immediato abbandono del lavoro. In brevissimo tempo tutte le officine ed i cantieri delle diverse industrie della città rimangono silenziosi. La Camera del lavoro si assume anche il compito di organizzare i funerali.

La tragica morte dei due operai quindi si trasforma in una manifestazione imponente.

Fin dalla nascita del Cantiere le morti di operai avvenute tragicamente compattano la classe operaia che in queste occasioni si unisce in manifestazioni identitarie e di lotta. È cosi nel caso di morti sul lavoro o altre morti tragiche e lo e ancor di più nel caso di operai uccisi da oppositori politici o dalle forze dell’ordine fintanto che la situazione politica lo permetterà.

I funerali di Nicolausig e Rizzardini sono solenni. Via IX giugno a stento riesce a contenere la folla che marcia greve e composta fino al cimitero sotto il rigido controllo di carabinieri, fanteria, cavalleria e agenti in borghese. Il corteo e costellato di ghirlande di fiori, bandiere rosse e la bandiera nera nera degli anarchici.

Le orazioni funebri sono tenute da Alfredo Callini per la Camera del lavoro seguito da Giuseppe Tuntar per i comunisti che alla fine del funerale verrà sottratto a fatica da un pestaggio organizzato da una squadra fascista.

Chiudono le esequie i libertari di Monfalcone a nome dei quali prende la parola Serafino Frausin. Figura tra le più rappresentative dell’anarchismo monfalconese, a metà giugno del 1921 i fascisti lo avevano aggredito lasciandolo esanime a terra con la testa spaccata (per tutta la lunga ed avventurosa vita ebbe un buco nel cranio in seguito a quel pestaggio). Soccorso, venne condotto all’ospedale di Monfalcone salvandosi in extremis. I fascisti però volevano eliminarlo definitivamente e si stavano dirigendo al nosocomio quando i compagni, anticipando gli avversari, lo condussero all’ospedale di Trieste per metterlo in salvo.

Non rinuncerà ad essere presente per dare l’estremo saluto a questi due giovani compagni, primi caduti monfalconesi nello scontro con i fascisti.