Orazione in Val Tramontina

Questo il programma delle iniziative che come ogni ogni ricordano l’eccidio di Palcoda e di Tramonti di Sotto, dove tra gli altri morì in combattimento Eugenio Candon “Sergio” – Medaglia d’Oro al Valor Militare – cittadino di Valeriano.

Anche quest’anno la cerimonia si svolgerà in due tappe, la prima al cimitero di Tramonti di Sotto e la seconda nella frazione abbandonata di Palcoda. Ulteriori cerimonie si svolgeranno a Mereto di Tomba in ricordo di Iole De Cillia “Paola” e nel Comune pugliese di Manduria in ricordo del carabiniere partigiano Cosimo Moccia fucilato con altri 10 nel cimitero di Tramonti

Vi attendiamo numerosi

per la sezione ANPI dello Spilimberghese “Virginia Tonelli

La Presidente

Bianca Minigutti


73° ANNIVERSARIO DELLA GUERRA DI LIBERAZIONE: LA MEGLIO GIOVENTÙ: PAOLA, BATTISTI, SERGIO E I 10 FUCILATI DI TRAMONTI

DOMENICA 9 DICEMBRE 2018 Tramonti di Sotto ORE 10.00: Ritrovo in piazza S. Croce a Tramonti di Sotto per partenza del corteo verso il cimitero dove furono fucilati i 10 partigiani la sera del 10 dicembre 1944.
Saluti da parte dell’amministrazione comunale di Tramonti di Sotto
Intervento del Presidente ANPI Comitato Provinciale Pordenone Loris Parpinel
ORE 10.30 Partenza per raggiungere Palcoda (circa 1 ora e mezza percorso semplice) Cerimonia a Palcoda
Palcoda è il luogo in cui furono uccisi all’alba del 9 dicembre 1944 il comandante Giannino Bosi “Battisti”, la partigiana Jole De Cillia “Paola”, il partigiano Eugenio Candoni “Sergio” e catturati i 10 partigiani fucilati il giorno successivo lungo il muro del cimitero di Tramonti di Sotto
Saluti della Presidente Anpi Spilimberghese “Virginia Tonelli” Bianca Minigutti
Orazione ufficiale di Luca Meneghesso, ANPI Monfalcone
Si raccomandano scarpe da montagna e si comunica che il pranzo sarà al sacco. In caso di maltempo la cerimonia verrà fatta presso la casa della conoscenza di Tramonti di Sotto.

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Sul blog La Storia le storie

Foto dal sito di ANPI Udine

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Eccoci a Palcoda. Villaggio abbandonato. Villaggio fantasma. Luogo ora forse senza tempo ma in cui la storia ha mosso i suoi passi come noi quest’oggi per raggiungerlo.

Palcoda ha una lunga storia alle spalle. Nasce intorno alla metà del diciassettesimo secolo grazie alle famiglie provenienti dalle valli vicine, divenendo ben presto piuttosto popoloso nonostante il grande isolamento del luogo. I suoi abitanti, dopo la crisi economica seguita alla prima guerra mondiale, avevano a poco a poca abbandonato il paese, lasciandolo al bosco. Gli ultimi ad andarsene sono stati i fondatori di questo sparuto ma ostinato gruppo di case, la famiglia Masutti che nei primi del Novecento aveva dato vita anche alla fiorente produzione di cappelli di paglia di Palcoda, che venivano addirittura esportati all’estero. Nel 1923 – il fascismo era regime da alcuni mesi – si chiude l’ultimo uscio del borgo.

Resteranno tutti chiusi fino a poco più di venti anni dopo. Nel 1944, infatti, qui si rifugiarono una sessantina di partigiani della brigata “Garibaldi Tagliamento” capitanati da Giovanni Bosi (nome di battaglia “Battisti”) e dalla sua compagna, Jole di Cillia (nome di battaglia “Paola”).

Battisti e Paola sono innamorati, è l’amore dei giovani in tempo di guerra. Si erano innamorati in quella difficile, eroica e splendida estate di libertà che da queste parti fu quella del 1944 che vide nascere, oltre al loro amore, anche quella straordinaria esperienza di democrazia diretta che è stata la Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli. La più grande zona libera d’Italia con i suoi 41 comuni liberati, i suoi circa 90.000 cittadini i suoi decreti che prevedevano tra le altre cose l’abolizione della pena di morte, il voto alle donne, provvedimenti legislativi a tutela dell’ambiente naturale, la totale autonomia tra formazioni partigiane e forze politiche.

A ottobre 1944 però la Carnia viene perduta e conquistata dai nazisti tedeschi con l’ausilio delle truppe fasciste della Milizia di Difesa Territoriale e cosacche con l’operazione Ataman. La Resistenza si ridusse alla Val Tramontina e alla Val d’Arzino.

Palcoda allora era disabitato da poco più di vent’anni, dicevamo, e, nascosto nella montagna, in mezzo ai boschi, lontano dalle vie più battute era un rifugio perfetto. Per pochi giorni Palcoda riprese vita, difesa e controllata dai partigiani, abitata dalle loro vite precarie, erranti, coraggiose. Con i partigiani il villaggio riprese vita e per poco tempo, i suoi fantasmi convissero assieme alla brigata di Battisti.

Infuriava il rastrellamento e tutto il comando della Garibaldi, si trovava a Campone (Tramonti di sotto) dove si discuteva animatamente sulla scelta dei varchi possibili per sfuggire all’accerchiamento. Battisti non poteva camminare. Fu deciso allora che, con Paola ed alcuni compagni, si sarebbe rifugiato a Palcoda, già incendiato dai tedeschi di passaggio. Qui i partigiani avevano allestito un deposito di viveri sotto il pavimento di alcune case. A Pàlcoda, Battisti ordinò ai suoi partigiani e a Paola di andarsene, di mettersi al sicuro a quote più alte; ma alcuni giovani e la ragazza vollero restare. Mentre i partigiani si sistemavano tra i ruderi delle case, Paola e Battisti si rifugiarono più in alto, in un anfratto tra le rocce.

I partigiani però non sapevano che i tedeschi avevano lasciato a controllare la zona un contingente di fascisti delle Decima MAS, il battaglione “Valanga”, che da un’altura stava sorvegliando ogni loro movimento. E nella notte circondarono Pàlcoda.

Nella sparatoria che seguì, alcuni partigiani furono catturati, altri riuscirono a fuggire. Battisti scese faticosamente, aiutato da Paola, per soccorrere i suoi uomini, e fu visto zoppicante che sparava e sparava, e quindi cadere a terra. Fu vista Paola afferrare l’arma del compagno e sparare a sua volta, e poi il silenzio.

Era l’alba del 9 dicembre ‘44 quando morirono Bosi (24 anni), Jole (23 anni) e Sergio (nome di battaglia Eugenio Candon pure di soli 23 anni ma già dalla lunga militanza antifascista con i maquis in Francia, al confino in Italia quindi tra i primi organizzatori delle formazioni partigiane in Friuli). Altri dieci combattenti furono giustiziati mentre il resto della brigata riuscì a scappare disperdendosi nel bosco.

Ad uccidere i partigiani furono miliziani italiani della Decima MAS che combattevano a fianco dei soldati nazisti in quella che era la Zona di Operazioni del Litorale Adriatico sottoposta alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto sottratta al controllo della Repubblica Sociale Italiana.

A Gorizia, tra poco più di un mese, vedremo nuovamente le bandiere dell’associazione dei reduci della banda neofascista repubblichina Decima MAS, spalleggiati dai loro giovani eredi di Casa Pound, commemorare in nome di un malinteso senso di “amor patrio”, i propri caduti. A Gorizia il primo sindaco a partecipare a queste celebrazioni fu Brancati a capo di una giunta sostenuta da DS, Margherita e Rifondazione. Fu poi il successivo primo cittadino forzista Romoli a spostare le celebrazioni nel palazzo comunale ed è con l’attuale sindaco Ziberna – la cui giunta segue le indicazioni dei fascisti di Casapound come abbiamo potuto leggere sulla stampa – che nel gennaio scorso si è perfino suonato l’inno della Decima MAS in Municipio.

Stiamo assistendo ad una guerra della memoria in cui lo sdoganamento dei fascisti sia storici che attuali è estremamente preoccupante.

Scrisse Italo Calvino: “Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, ché di queste non ce ne sono”.

Dobbiamo continuare a ribadire che i morti non sono tutti uguali e che non va concesso nessuno spazio ai fascisti.

La storia della Resistenza è diventata un campo di contesa ma grossa è la confusione. Anche in questa zona si è cominciato a strumentalizzare la vicenda della foiba del Ciaurlec o fous di Balancetta. I fascisti di Casa Pound inscenano commemorazioni e a mescolare le carte ancora una volta Luca Urizio della Lega nazionale di Gorizia che parla di scoperta e conta 60 morti innocenti. È bastata una veloce investigazione per scoprire che in realtà “è dal 1946 che si sa che non erano 60 ma 11 le vittime riesumate di persone uccise durante il conflitto e che non si trattava di “civili”, ma di funzionari del fascio repubblichino, di collaborazionisti (informatori) e di militari” come emerge da ricerche della studiosa triestina Claudia Cernigoi.

L’utilizzo di questa vicenda segue la grottesca invenzione di una foiba, soprannominata poi “volante” visto che la sua sede pareva muoversi ad ogni successiva rivelazione dei suoi ricercatori, che avrebbe dovuto trovarsi nel medio Friuli ma che poi non è mai stata trovata. La questione è stata chiusa anche da parte della magistratura chiamata in causa il 10 febbraio del 2016 in occasione della Giornata del ricordo da Urizio stesso che aveva raccontato del ritrovamento alla Farnesina di un documento del 12 ottobre 1945, in cui si parlava appunto dell’infoibamento di centinaia di persone. Tra i protagonisti dell’invenzione della foiba volante ci fu anche Ivan Buttignon. Noto per aver presentato in sedi di CasaPound i suoi libri: “Il verde e il nero. Maccari, Malaparte, Soffici: i fascisti che anticiparono l’ambientalismo” e “Compagno Duce” è autore anche di un libro sulla storia della Resistenza. La cosa che preoccupa e che sottolinea la mancanza di punti di riferimento è che questa storia della Resistenza, che Ivan Buttignon ha pubblicato rimasticando vecchie pubblicazioni degli anni ‘90, è stata stampata con fondi ricevuti dalla regione per conto dell’ANPI.

Stiamo perdendo i punti di riferimento e sembra difficile riuscire a fare fronte in una situazione socialmente e politicamente sempre più confusa, incerta, gretta, violenta e autoritaria. Non dobbiamo però dimenticare l’esperienza di quei sessanta giovani di Palcoda. Oggi come allora ci sono persone, soggetti, associazioni, movimenti che non si rassegnano a subire l’esistente sta a noi riuscire a creare connessioni, agire da catalizzatori di iniziative, produrre arte e cultura, alimentare la ricerca storica e la critica, inventare momenti di aggregazione e confronto. Il progetto Zone Libere nato questa estate in questa valle a Tramonti per una festa della Repubblica Partigiana da realizzarsi qui il 2 giugno 2019 e di un progetto di mappatura e promozione dei sentieri e luoghi partigiani della zona, appena partito, già solo ad immaginarlo è ambizioso e con molti ostacoli ma il percorso appare un’operazione antifascista che mentre si concretizza impara ad organizzarsi come assemblea, presidio, memoria, provocazione, anticorpo, desiderio.

Ci troviamo oggi come allora qui su questi monti. Qui siamo. Qui restiamo. Da qui ripartiamo.

Morte al fascismo! Libertà ai popoli!


Messaggero Veneto 12 dicembre 2018 Saranno recuperati e valorizzati i sentieri della Repubblica partigiana della Carnia