Competenze vernacolari come professioni

“La società, nella misura in cui continua a far dipendere il diritto a un pieno reddito dall'occupazione di un impiego a pieno tempo, è obbligata a creare, in tutti i modi possibili, dei posti di lavoro. Ciò la porta a cercare di trasformare in impieghi le attività che la gente potrebbe, dovrebbe o amerebbe fare da sola, ma per le quali non ha abbastanza tempo a causa del lavoro «normale». Insomma, invece di ridistribuire il lavoro economicamente redditizio o utile in modo che tutti possano lavorare meno e avere più tempo per quei compiti che implicano una competenza «vernacolare» (nel senso che Ivan Illich dà a questo termine), i compiti vernacolari vengono trasformati in lavori e specializzazioni professionali. La conseguenza è un impoverimento e una maggiore unidimensionalità delle possibilità, capacità e relazioni interindividuali. La cura dell'altro, la simpatia, la convivialità, la solidarietà con i deboli – quello che gli americani chiamano caring e che si può tradurre con «relazionale» – sono sempre più considerati come «giacimenti di lavori qualificanti». Il Pdg di una catena di supermercati suggerisce che «l'attitudine» a essere gentili, premurosi, servizievoli dovrebbe essere insegnata e certificata da un diploma, poiché aiuta a vendere e, in più, crea un «legame sociale». Ma una civiltà in cui il relazionale e il legame sociale divengono affari di professionisti diplomati sarà anche una civiltà in cui le condotte relazionali apprese e programmate accelereranno la sparizione delle condotte spontanee. Nessuno avrà più bisogno, per esempio, di aiutare un cieco ad attraversare la strada perché «ci sono persone pagate per questo».”

André Gorz Il lavoro debole. Oltre la società salariale, Edizioni Lavoro, Roma, 1994, pag. 61-63