Estate movimentata al reparto 6

Dopo quasi due mesi di esilio forzato per la ristrutturazione del padiglione del manicomio in cui normalmente siamo sistemati questa settimana c’è stato il tanto atteso rientro.

Vale la pena spendere qualche parola sul periodo di lontananza dal manicomio. Dopo 8 giorni di soggiorno con tutta la compagnia del reparto (abitanti più inservienti: non mi piace molto la distinzione ospiti – termine che detesto se non altro per l’etimo comune con ospedale – e operatori – che neppure mi piace: del resto operatori di cosa? E in fondo siamo nonostante le velleità e le aspirazioni meri inservienti…) in amene località lacustri e montane il rientro è stato fatto direttamente nella sistemazione temporanea (per quanto la temporaneità sia poi stata piuttosto prolungata).

Uscire dall’ospedale psichiatrico lascia pensare – o quantomeno sperare – sempre ad una maggiore libertà e possibilità di soluzioni esistenziali non inquadrate in modo psichiatrico quindi ad una minore stigmatizzazione: ma se la lontananza dalle mura è una condizione necessaria non è però sufficiente.

Ci siamo trovati baraccati quasi come terremotati in un agriturismo in ristrutturazione – o piuttosto in potenza, forse sarebbe più corretto dire che ci siamo trovati in un cantiere aperto con tanto di attrezzatura a disposizione di chiunque dai martelli alle motoseghe alla betoniera senza contare calcinacci, schegge e chiodi arrugginiti – al confine con il deserto dei Tartari in un paesino di lingua sconosciuta senza né bar né tabacchino – e chi ha avuto a che fare coi matti (come con chiunque abbia un sacco di tempo libero sia per destino scelta o obbligo) sa che non è possibile mantenere un minimo di serenità in assenza o in caso di difficile reperibilità di nicotina e caffeina.

È stata subito evidente la condizione ambientale sfavorevole. Evidente perlomeno ad abitanti ed inservienti del reparto ché i servizi (quelli sanitari che pensate… anche se per certi versi soprattutto trattandosi di psichiatria non è che ci sia così tanta lontananza) e i gerarchi (perché più in alto nelle gerarchie maliziosi ) della cooperativa hanno ritenuto la sistemazione addirittura ideale. Secondo la referente dei servizi la soluzione era ricca di potenzialità e poteva essere una boccata d’ossigeno per riacquistare motivazioni da parte di una équipe forse stanca – poi però nessuno si ferma ad analizzare il perché di certa stanchezza…  – e in ogni caso era affascinante la cornice piena di suggestioni arcadiche (che pare siano considerate estremamente terapeutiche per chi è affetto da disturbo psichico severo…) e tanto le bastava.

Stessa opinione anche per quel che riguarda i vari superiori della cooperativa i quali però hanno trovato le rimostranze di noi soci lavoratori pretestuose e contrarie ad ogni spirito cooperativistico.

In una struttura estremamente pericolosa a livello ambientale con scalinate ripide, porte basse, una veranda abusiva, attrezzatura e operai un po’ ovunque, nessuno strumento antincendio nonostante l’agriturismo sia tutto in legno e pietra e in una località isolata, mal servita, in cui le persone di per sé non ospitali erano lontane se non altro dal punto di vista linguistico tanto che gli unici scambi umani avuti in tutto il periodo sono stati con gli operai che lì lavoravano – peraltro la maggioranza di loro era costituito da persone cosiddette svantaggiate – e il padrone dello pseudoagriturismo – casualmente (?!) il figlio di un sociologo che lavorava/lavora nei sevizi… certo che a pensare male si farà pure peccato ma non si sbaglia quasi mai… – non mi è personalmente ancora ben chiaro cosa avremmo potuto fare di così terapeutico: forse passeggiate e lavoro nei campi come nelle vecchie colonie agricole dei manicomi?

Probabilmente invece è pieno di spirito cooperativistico il fatto di far lavorare delle persone – senza parlare di quelle che invece di lavorarci ci hanno dovuto vivere… –  in un ambiente pericoloso; senza far fare neanche un po’ di riposo a quegli inservienti che per 8 giorni erano stati via in trasferta con “l’utenza”; una gestione discutibile delle ferie; cattiva gestione di quelle che vengono ormai squallidamente chiamate anche in cooperativa “risorse umane” che ha portato alcuni colleghi a farsi turni “boreali” di 24 ore continuative; totale mancanza di continuità “terapeutica” dal momento che parte del personale d’assistenza assente da lungo tempo è stata sostituita con numerose persone alle prime armi professionalmente che si ruotavano, spesso senza patente creando quindi la totale immobilità: mobilità già fortemente vulnerata dalla situazione di confino, e dalla saltuaria mancanza di mezzi di trasporto creando di fatto una galera a porte aperte: chi usciva dove mai avrebbe potuto andare?; la mancanza di possibilità di contatto telefonico nei primi 3 giorni di permanenza vista l’assenza di uno strumento telefonico; una valutazione da parte del responsabile del servizio di prevenzione e protezione della cooperativa sulla sicurezza degli ambienti ampiamente deludente se non offensiva nella sua falsità apparentemente volta solo a non creare contrasti con la committenza; valutazione che sottolineava le soluzioni alle criticità più evidenti: soluzioni che però non sono mai state attuate. La valutazione peraltro è stata fatta dopo pesanti pressioni da parte di noi soci lavoratori visto che prima dell’ingresso in questo agriturismo nessuna indagine sull’idoneità del luogo quale sede di una struttura riabilitativa (oltre che di lavoro) era stata fatta dai referenti della cooperativa che pare non ci fossero neppure mai stati salvo poi pure dire che visto che ci lamentavamo tanto avremmo dovuto noi soci trovare un’alternativa adatta: parrebbe che lo scarica barile sia la modalità più frequente di rifiuto dei ruoli da queste parti… (e del resto si sa che la merda scivola in basso)

Bilancio: un utente si è rotto il braccio, il secondo se ne è andato a piedi facendosi circa 20 km per raggiungere la città facendosi una notte all’adiaccio, il terzo in crisi per la lontananza dagli affetti con un ricovero in centro di salute mentale e una avventata dimissione riuscita solo grazie a una pesante sedazione farmacologica da cui deve ancora riprendersi (se ce la farà), il quarto appena rientrato si è preso una delle sbronze più solenni che ci si ricordi (e come biasimarlo?!), l’ultimo pure in crisi visto anche il concomitante tentativo di inserimento – ovviamente fallito ma i particolari di questa vicenda più ubuesca che kafkiana vista l’assurdità crudele meriterebbe una discussione a parte – in un’altra struttura residenziale.

Senza contare i vari disagi, infortuni (anche nel senso riguardante l’INAIL), costi.

Intanto ora siamo rientrati in manicomio e la settimana prossima si vota la fiducia al consiglio di amministrazione della cooperativa…