Guy de Maupassant “Lettera di un pazzo”

Caro dottore mi metto nelle vostre mani … se devo scontare la mia condanna nell’inferno dei sani …o … alla pace dei farmaci io abbia finalmente diritto! Scegliete voi ! …

Vivevo come tutti guardando la vita con gli occhi aperti e ciechi degli uomini.  Vivevo nella certezza  osservando o credendo di sapere e  convinto di conoscere quello che mi circonda.  Fino a qualche tempo fa. La mia è una casa silenziosa. Tuttavia ho cominciato a sentire dei rumori.  All’inizio non vi feci caso poi un giorno, come un fulmine a ciel  sereno… mi sorprese  un pensiero  lucido e razionale. Nessuna causa poteva  giustificare quei rumori. Inquieto tralasciai  tutte  le mie occupazioni e presi ad aspettarli. Passavo giornate  intere seduto al mio tavolo, immobile ,trattenendo il respiro, ossessionato dal pensiero di quando e dove si sarebbe manifestato il prossimo. Poi una sera… ho sentito il parquet scricchiolare proprio… dietro di me … Ha scricchiolato come se lo avessero calpestato.   Subito mi sono girato! Niente! All’indomani alla stessa ora, il rumore si è ripetuto. Questa volta sono scattato in piedi terrorizzato certo  di non essere solo. Eppure… Non si vedeva niente! Così  a poco a poco mi calmai. L’indomani mi chiusi ancora  in camera di buon’ora, deciso a smascherare l’invisibile  che veniva a farmi visita. Avevo chiuso tutte le luci e mio Dio! L’ho visto! Il rumore si era sempre  prodotto alle 9 e 22, così mi sedetti ad aspettare. Quando scoccò l’orario ebbi una strana sensazione ..  come se un fluido fosse penetrato in me … attraverso… ogni molecola del mio corpo. E lo scricchiolio……si ripetè. Mi alzai voltandomi così in fretta che per poco  non caddi. E davanti a me.. non c’era che il solito grande armadio con lo specchi . Ma l’orrore fu .. che in esso io non riuscivo più a scorgere la mia immagine.  Lo specchio era vuoto, chiaro, luminoso  ma  … pur trovandomi di fronte ad esso… non c’era riflessa la mia figura! Io… sgomento .. non osavo ad avvicinarmi alla lastra perché sapevo che tra di noi c’era l’invisibile presenza  ed era .. lei… a nascondermi.  Ed ecco però che in fondo allo specchio.. cominciai a vederlo… avvolto in una specie di bruma, come attraverso dell’acqua  e mi sembrava che l’acqua scivolasse da  sinistra a destra …lentamente .. lentamente … permettendomi di distinguere…..  sempre meglio . E quando fu scivolato via cessando di frapporsi  fra me e lo specchio… tornai a vedermi chiaramente . Da allora.. non l’ho riveduto più.  Io ……lo  aspetto senza posa. Come se …dal suo ritorno… dipendesse ormai .. ogni mia ragione di essere. E la mia testa si perde  in questa attesa. Io rimango …davanti allo specchio per ore .. notti…  giorni…  settimane …ad aspettarlo. Ma non viene più . Sento che .. ..l’aspetterò… per sempre. Come un cacciatore in agguato ad una bestia piu furba di lui! E nello specchio … comincio ad intravvedere … immagini mostruose …ed ogni sorta di essere spaventevole……… e tutte  le terribili visioni che forse……. Che forse … ossessionano le menti dei… folli.


Versione integrale

Caro dottore, mi metto nelle vostre mani. Fate di me quello che credete. Vi sto descrivendo francamente lo stato della mia mente, così voi giudicherete se è meglio essere preso in cura per qualche tempo in un sanatorio o rimanere in preda alle allucinazioni e sofferenze che mi stanno lacerando.

Ecco la storia, lunga e precisa del male particolare della mia anima. Sto vivendo come ogni altro uomo con occhi ciechi ed aperti sulla vita senza stupirmi e senza capire.

Stavo vivendo come vivono come tutti viviamo, guardando la vita con gli occhi aperti e ciechi dell’uomo, senza stupirmi e senza comprendere. Vivevo come gli animali, come viviamo tutti noi effettuando tutte le funzioni dell’esistenza, esaminando e credendo di vedere, credendo di sapere, credendo di conoscere quello che mi circonda, quando un giorno mi sono accorto che tutto è falso.

È una frase di Montesquieu che ha illuminato improvvisamente la mia mente. Un organo in più o in meno del nostro corpo ci consentirebbe una diversa intelligenza.

Infatti tutte le regole del nostro corpo e di altre cose sarebbero differenti se il nostro corpo fosse diverso.

Ho riflettuto su questo parecchi mesi, di mese in mese, e a poco a poco una strana chiarezza è entrata in me ed è comparso il buio. Infatti i nostri organi sono gli unici mediatori fra il mondo esterno e noi stessi. Cioè la nostra interiorità, il nostro ego, è in contatto attraverso alcuni terminali nervosi con la parte esterna del mondo.

Inoltre questa mondo esterno ci sfugge per la sua grandezza, durata, proprietà innumerevoli ed impenetrabili, le sue origini, il suo avvenire e i suoi fini, le forme lontane e le manifestazioni infinite, i nostri organi ci danno sulla piccola parte che possiamo conoscere solo informazioni tanto incerte quanto poco numerose.

Incerte perché sono unicamente le proprietà dei nostri organi che determinano per noi le proprietà apparenti della materia. Poco numerose perché i nostri sensi solo soltanto cinque, quindi il campo delle indagini e la natura delle rivelazioni sono molto limitate.

Mi spiego. L’occhio trasmettere le dimensioni, le forme ed i colori. Ci inganna su questi tre punti. Può rivelare a noi soltanto gli oggetti e gli esseri di una dimensione media del formato umano, per cui usiamo la parola “grande” per determinate cose e la parola “piccola” a determinate altre cose, solo perché la debolezza dell’occhio non permette di far conoscere quello che è troppo immenso o troppo piccolo per esso. Quindi, l’occhio, non conosce e non vede quasi niente dell’intero universo. Come non vede la stella dell’universo che si trova nello spazio ed il microbo che vive in una goccia d’acqua.

Anche se il nostro occhio fosse cento milioni di volte più potente, non percepirebbe l’aria che respiriamo, tutte le specie degli esseri invisibili e tutti gli abitanti dei pianeti vicini ed esisterebbero ancora infiniti tipi di animali così piccoli e mondi così distanti, che l’occhio non potrebbe raggiungere. Dunque tutte le nostre idee circa le proporzioni sono false perché non conosciamo i limiti della grandezza e piccolezza. La nostra consapevolezza delle dimensioni e delle figure non ha valore assoluto, poiché è determinata solamente dalla potenza di un organo e da un confronto costante con noi stessi. Aggiungiamo inoltre che l’occhio è incapace di vedere il trasparente. Un vetro perfetto lo inganna. Lo confonde con l’aria che non può essere vista.

Passiamo al colore. Il colore esiste perché il nostro occhio è formato in modo tale che trasmette al cervello, sotto forma di colore, i diversi modi in cui i corpi assorbono e decompongono i raggi luminosi che li colpiscono, in funzione della loro composizione chimica. Le varie proporzioni di questo assorbimento e scomposizione, compongono le tonalità di colore. Così questo organo impone alla mente il relativo senso di vedere, o piuttosto il suo modo arbitrario di constatare le dimensioni e di percepire i rapporti di luce con la materia.

Esaminiamo l’orecchio. Ancora più che con l’occhio noi siamo gli zimbelli e le vittime di questo organo fantasioso. Due corpi si urtano e producono un certa scossa nell’atmosfera. Questo movimento fa vibrare nel nostro orecchio una piccola parte di pelle che trasforma immediatamente in suono qualche cosa che in realtà non è che una vibrazione. La natura è muta. Ma il timpano possiede le proprietà miracolosa di trasmettere al nostro udito sotto forma di sensazioni differenti tra loro in funzione della quantità di vibrazioni, tutti i fremiti della onde invisibili dello spazio. Dando un significato che cambio secondo il numero delle vibrazioni. Questa trasformazione, realizzata dal nervo uditivo, nel breve tragitto dall’orecchio al cervello, ha permesso che noi generassimo una strana arte, la musica, le arti più poetiche e precise, indefinite come un sogno ed esatte come l’algebra.

Che cosa possiamo dire del gusto e dell’odorato?

Riconosceremmo i profumi e la qualità dei vari alimenti senza le proprietà particolari del naso e del palato? L’umanità, tuttavia, potrebbe esistere senza l’orecchio, senza il gusto e l’odore – cioè senza alcuna nozione di suono, gusto ed odore. Quindi se avessimo qualche organo di meno, saremmo ignari delle cose eccellenti ed insolite, ma se avessimo alcuni organi in più, scopriremmo intorno a noi un’infinità di altre cose che non avremmo mai constatato. Dunque ci sbagliamo quando giudichiamo il conosciuto e siamo circondati da un incognito inesplorato. Tutto è incerto e può essere percepito in modi differenti.

Tutto è falso, tutto è possibile e tutto è dubbioso. Formuliamo questa certezza usando il vecchio detto: “Verità da questo lato dei Pirenei, errore dall’altra parte”. E diciamo: “Verità in un nostro organo ed errore dall’altro”. Due più due non fanno quattro fuori dalla nostra atmosfera. Verità sulla terra, errore più lontano. Dunque concludo che i misteri come l’elettricità, il sonno ipnotico, la trasmissione di volontà, la suggestione, tutti i fenomeni magnetici, rimangono nascosti perché la natura non ci ha fornito l’organo o gli organi necessari per comprenderli.

Dopo essermi convinto che tutto quello che si rivela ai miei sensi esiste solo per me nel modo in cui io lo percepisco e sarebbe totalmente differente per un’altra persona, dopo aver concluso che un’umanità fatta diversamente avrebbe sul mondo, sulla vita, su tutto, sulle idee assolutamente opposte alle nostre, poiché gli accordi sulle nostre credenze sono dovuti solo alla somiglianza dei nostri organi e le divergenze di opinione sono dovuti soltanto dalle differenze di funzionamento dei nostri terminali nervosi, ho fatto un sforzo di pensiero sovrumano per sospettare l’impenetrabile che mi circonda.

Sono diventato pazzo? Mi sono detto: “Sono circondato da cose sconosciute”. Ho immaginato l’uomo senza orecchie che sospetta l’esistenza del suono, come noi sospettiamo l’esistenza di tanti misteri nascosti, l’uomo che nota i fenomeni acustici di cui non può determinare né la natura né la provenienza.

Ho paura di tutto, intorno a me, paura dell’aria, paura della notte. Dal momento che noi non possiamo conoscere quasi niente e dal momento che tutto è senza limiti, che cosa resta? Il vuoto, non è vero? Che cosa esiste in questo vuoto apparente? Questo terrore confuso del soprannaturale che ha assillato l’uomo dalla nascita del mondo è legittimo perché il soprannaturale non è altro da quello che ci resta sconosciuto (non rivelato)! Allora ho capito il terrore. Mi è sembrato di arrivare costantemente a scoprire un segreto dell’universo. Ho tentato di affinare i miei organi, di eccitarli, per far loro percepire, in certi momenti, l’invisibile. Mi sono detto, “tutto è un essere”. Il grido che passa nell’aria, è un essere simile alla bestie poiché esso nasce, produce un movimento e si trasforma ancora per morire. Così la mente timorosa che crede in essere incorporei non sbaglia. Chi sono? Quanti uomini li avvertono, fremono in loro presenza, tremano al loro impercettibile contatto. Li sentiamo vicino ed intorno a noi, ma non possiamo distinguerli perché non abbiamo gli occhi per vederli o piuttosto l’organo sconosciuto che potrebbe scoprirli.

Allora, più di chiunque altro, io le sentivo queste presenze soprannaturali. Esseri o misteri? Come posso saperlo? Non posso dire che cosa sono, ma sempre segnalare la loro presenza. Ho visto – ho visto un essere invisibile – nella misura in cui si possono vedere questi esseri? Sono rimasto immobile per intere notti, seduto davanti al mio tavolo, con la testa fra le mani, pensando a questo, pensando a loro. Spesso ho creduto che una mano intangibile, o piuttosto un corpo inafferrabile stava sfiorando i miei capelli. Non mi ha toccato perché non era un’essenza carnale, ma un’essenza imponderabile e sconosciuta. Una sera ho sentito scricchiolare il parquet dietro di me. Ha scricchiolato in modo particolare. Ho tremato. Mi sono girato. Non ho visto niente. Non ci ho più pensato. Ma il giorno dopo, alla stessa ora, si è verificato lo stesso rumore. Ero così spaventato che mi sono alzato, sicuro, sicuro, sicuro che non ero da solo nella mia stanza. Non ho visto niente. L’aria era limpida, trasparente ovunque. Le mie due lampade illuminavano ogni angolo della stanza. Il rumore non riprese e mi calmai un po’ per volta; tuttavia rimasi piuttosto inquieto e mi guardai spesso intorno. Il giorno dopo mi risvegliai di buon ora, cercando di capire come sarei riuscito a vedere l’invisibile che mi visitava. E l’ho visto. Per poco non sono morto di terrore. Avevo acceso tutte le candele sulla mensola del camino e i candelieri. La stanza era illuminata a festa. Le mie due lampade bruciavano sul tavolo. Di fronte a me, il mio letto, un vecchio letto a colonne in legno di quercia. A destra il mio caminetto. A sinistra, la mia porta, che avevo chiuso col catenaccio. Dietro di me un grande armadio con specchio. Mi sono guardato in esso. Avevo occhi assenti e pupille dilatate. Allora mi sono seduto come tutti i giorni. Il rumore si era presentato la sera prima e la sera prima delle 21,22. Aspettavo. Quando il momento preciso è arrivato , ho percepito una sensazione indescrivibile, come se un liquido, un liquido irresistibile mi fosse penetrato in tutti i pori, sommergendo la mia anima con un terrore atroce. E lo scricchiolio divenne forte, dritto verso di me. Mi alzai e mi girai così rapidamente che quasi caddi. Vedevo ogni cosa come in pieno giorno e non mi vedevo nello specchio. Era vuoto, libero pieno di luce., Non ero dentro di lui, nonostante gli fossi davanti. Lo fissavo con sguardo atterrito. Non ho osato avvicinarmi ad esso perché sentivo che era fra noi, lui, l’invisibile, e che mi nascondeva.

È stato terribile. Ed ecco che ho cominciato a percepirmi in una foschia in fondo allo specchio, in una foschia come attraverso uno specchio d’acqua e mi sembrava che questa acqua scivolasse lentamente da sinistra a destra rendendo a ogni secondo la mia immagine più precisa. Era come la fine di un’eclissi. Quello che mi nascondeva non aveva contorni, ma una sorta di trasparenza opaca che a poco a poco si schiariva. Alla fine ho potuto vedermi chiaramente, come faccio tutti i giorni quando guardo me stesso. L’avevo dunque visto. E non lo ho più rivisto.

Lo attendo incessantemente e sento che la mia mente si sta smarrendo in questa attesa. Rimando per ore, notti, giorni, settimane, davanti al mio specchio, aspettandolo. Egli non tornerà mai più. Ha capito che io l’ho visto. Sento che lo aspetterò per sempre, fino alla morte, che lo attenderò incessantemente, davanti a questo specchio come un cacciatore in agguato.

E, dentro questo specchio, comincio a vedere delle immagini folli, mostri, cadaveri orrendi, tutti i tipi di bestie feroci. Di esseri atroci, tutte le visioni inverosimili, che devono popolare la mente dei folli.

Questa è la mia confessione, mio caro dottore. Ditemi che cosa devo fare?

17 Febbraio 1885

Testo pubblicato nel Gil Blas del 17 Febbraio 1885 con la firma Maufrigneuse


Versione originale

Lettre d’un fou

Mon cher docteur, je me mets entre vos mains. Faites de moi ce qu’il vous plaira.
Je vais vous dire bien franchement mon étrange état d’esprit, et vous apprécierez s’il ne vaudrait pas mieux qu’on prît soin de moi pendant quelque temps dans une maison de santé plutôt que de me laisser en proie aux hallucinations et aux souffrances qui me harcèlent.
Voici l’histoire, longue et exacte, du mal singulier de mon âme.

Je vivais comme tout le monde, regardant la vie avec les yeux ouverts et aveugles de l’homme, sans m’étonner et sans comprendre., Je vivais comme vivent les bêtes, comme nous vivons tous, accomplissant toutes les fonctions de l’existence, examinant et croyant voir, croyant savoir, croyant connaître ce qui m’entoure, quand, un jour, je me suis aperçu que tout est faux.
C’est une phrase de Montesquieu qui a éclairé brusquement ma pensée. La voici : “Un organe de plus ou de moins dans notre machine nous aurait fait une autre intelligence.
Enfin toutes les lois établies sur ce que notre machine est d’une certaine façon seraient différentes si notre machine n’était pas de cette façon.”
J’ai réfléchi à cela pendant des mois, des mois et des mois, et., peu à peu, une étrange clarté est entrée en moi, et cette clarté y a fait la nuit.
En effet, nos organes sont les seuls intermédiaires entre le monde extérieur et nous. C’est-à-dire que l’être intérieur, qui constitue le moi, se trouve en contact, au moyen de quelques filets nerveux, avec l’être extérieur qui constitue le monde.
Or, outre que cet être extérieur nous échappe par ses proportions, sa durée, ses propriétés innombrables et impénétrables, ses origines, son avenir ou ses fins, ses formes lointaines et ses manifestations infinies, nos organes ne nous fournissent encore sur la parcelle de lui que nous pouvons connaître que des renseignements aussi incertains que peu nombreux.
Incertains, parce que ce sont uniquement les propriétés de nos organes qui déterminent pour nous les propriétés apparentes de la matière.
Peu nombreux, parce que nos sens n’étant qu’au nombre de cinq, le champ de leurs investigations et la nature de leurs révélations se trouvent fort restreints.
Je m’explique. – L’oeil nous indique les dimensions, les formes et les couleurs. Il nous trompe sur ces trois points.
Il ne peut nous révéler que les objets et les êtres de dimension moyenne, en proportion avec la taille humaine, ce qui nous a amenés à appliquer le mot grand à certaines choses et le mot petit à certaines autres, uniquement parce que sa faiblesse ne lui permet pas de connaître ce qui est trop vaste ou trop menu pour lui. D’où il résulte qu’il ne sait et ne voit presque rien, que l’univers presque entier lui demeure caché, l’étoile qui habite l’espace et l’animalcule qui habite la goutte d’eau.
S’il avait même cent millions de fois sa puissance normale, s’il apercevait dans l’air que nous respirons toutes les races d’êtres invisibles, ainsi que les habitants des planètes voisines, il existerait encore des nombres infinis de races de bêtes plus petites et des mondes tellement lointains qu’il ne les atteindrait pas.
Donc toutes nos idées de proportion sont fausses puisqu’il n’y a pas de limite possible dans la grandeur ni dans la petitesse.
Notre appréciation sur les dimensions et les formes n’a aucune valeur absolue, étant déterminée uniquement par la puissance d’un organe et par une comparaison constante avec nous-mêmes.
Ajoutons que l’oeil est encore incapable de voir le transparent. Un verre sans défaut le trompe. Il le confond avec l’air qu’il ne voit pas non plus.
Passons à la couleur.
La couleur existe parce que notre oeil est constitué de telle sorte qu’il transmet au cerveau, sous forme de couleur, les diverses façons dont les corps absorbent et décomposent, suivant leur constitution chimique, les rayons lumineux qui les frappent.
Toutes les proportions de cette absorption et de cette décomposition constituent les nuances.
Donc cet organe impose à l’esprit sa manière de voir, ou mieux sa façon arbitraire de constater les dimensions et d’apprécier les rapports de la lumière et de la matière.
Examinons l’ouïe.
Plus encore qu’avec l’oeil, nous sommes les jouets et les dupes de cet organe fantaisiste.
Deux corps se heurtant produisent un certain ébranlement de l’atmosphère. Ce mouvement fait tressaillir dans notre oreille une certaine petite peau qui change immédiatement en bruit ce qui n’est, en réalité, qu’une vibration.
La nature est muette. Mais le tympan possède la propriété miraculeuse de nous transmettre sous forme de sens, et de sens différents suivant le nombre des vibrations, tous les frémissements des ondes invisibles de l’espace.
Cette métamorphose accomplie par le nerf auditif dans le court trajet de l’oreille au cerveau nous a permis de créer un art étrange, la musique, le plus poétique et le plus précis des arts, vague comme un songe et exact comme l’algèbre.
Que dire du goût et de l’odorat ? Connaîtrions-nous les parfums et la qualité des nourritures sans les propriétés bizarres de notre nez et de notre palais ?
L’humanité pourrait exister cependant sans l’oreille, sans le goût et sans l’odorat, c’est-à-dire sans aucune notion du bruit, de la saveur et de l’odeur.
Donc, si nous avions quelques organes de moins, nous ignorerions d’admirables et singulières choses, mais si nous avions quelques organes de plus, nous découvririons autour de nous une infinité d’autres choses que nous ne soupçonnerons jamais faute de moyen de les constater.
Donc, nous nous trompons en jugeant le Connu, et nous sommes entourés d’inconnu inexploré.
Donc, tout est incertain et appréciable de manières différentes.
Tout est faux, tout est possible, tout est douteux.
Formulons cette certitude en nous servant du vieux dicton : “Vérité en deçà des Pyrénées, erreur au-delà.”
Et disons : vérité dans notre organe, erreur à côté.
Deux et deux ne doivent plus faire quatre en dehors de notre atmosphère.
Vérité sur la terre, erreur plus loin, d’où je conclus que les mystères entrevus comme l’électricité, le sommeil hypnotique, la transmission de la volonté, la suggestion, tous les phénomènes magnétiques, ne nous demeurent cachés, que parce que la nature ne nous a pas fourni l’organe, ou les organes nécessaires pour les comprendre.
Après m’être convaincu que tout ce que me révèlent mes sens n’existe que pour moi tel que je le perçois et serait totalement différent pour un autre être autrement organisé, après en avoir conclu qu’une humanité diversement faite aurait sur le monde, sur la vie, sur tout, des idées absolument opposées aux nôtres, car l’accord des croyances ne résulte que de la similitude des organes humains, et les divergences d’opinions ne proviennent que des légères différences de fonctionnement de nos filets nerveux, j’ai fait un effort de pensée surhumain pour soupçonner l’impénétrable qui m’entoure.
Suis-je devenu fou ?
Je me suis dit : “Je suis enveloppé de choses inconnues.” J’ai supposé l’homme sans oreilles et soupçonnant le son comme nous soupçonnons tant de mystères cachés, l’homme constatant des phénomènes acoustiques dont il ne pourrait déterminer ni la nature, ni la provenance. Et j’ai eu peur de tout, autour de moi, peur de l’air, peur de la nuit. Du moment que nous ne pouvons connaître presque rien, et du moment que tout est sans limites, quel est le reste ? Le vide n’est pas ? Qu’y a-t-il dans le vide apparent ?
Et cette terreur confuse du surnaturel qui hante l’homme depuis la naissance du monde est légitime puisque le surnaturel n’est pas autre chose que ce qui nous demeure voilé !
Alors j’ai compris l’épouvante. il m’a semblé que je touchais sans cesse à la découverte d’un secret de l’univers.
J’ai tenté d’aiguiser mes organes, de les exciter, de leur faire percevoir par moments l’invisible.
Je me suis dit : “Tout est un être. Le cri qui passe dans l’air est un être comparable à la bête puisqu’il naît, produit un mouvement, se transforme encore pour mourir. Or, l’esprit craintif qui croit à des êtres incorporels n’a donc pas tort. Qui sont-ils ?”
Combien d’hommes les pressentent, frémissent à leur approche, tremblent à leur inappréciable contact. On les sent auprès de soi, autour de soi, mais on ne les peut distinguer, car nous n’avons pas l’oeil qui les verrait, ou plutôt l’organe inconnu qui pourrait les découvrir.
Alors, plus que personne, je les sentais, moi, ces passants surnaturels. Etres ou mystères ? Le sais-je ? Je ne pourrais dire ce qu’ils sont, mais je pourrais toujours signaler leur présence. Et j’ai vu – j’ai vu un être invisible – autant qu’on peut les voir, ces êtres.
Je demeurais des nuits entières immobile, assis devant ma table, la tête dans mes mains et songeant à cela, songeant à eux. Souvent j’ai cru qu’une main intangible, ou plutôt qu’un corps insaisissable, m’effleurait légèrement les cheveux. Il ne me touchait pas, n’étant point d’essence charnelle, mais d’essence impondérable, inconnaissable.
Or, un soir, j’ai entendu craquer mon parquet derrière moi. Il a craqué d’une façon singulière. J’ai frémi. Je me suis tourné. Je n’ai rien vu. Et je n’y ai plus songé.
Mais le lendemain, à la même heure, le même bruit s’est produit. J’ai eu tellement peur que je me suis levé, sûr, sûr, sûr, que je n’étais pas seul dans ma chambre. On ne voyait rien pourtant. L’air était limpide, transparent partout. Mes deux lampes éclairaient tous les coins.
Le bruit ne recommença pas et je me calmai peu à peu ; je restais inquiet cependant, je me retournais souvent.
Le lendemain je m’enfermai de bonne heure, cherchant comment je pourrais parvenir à voir l’invisible qui me visitait.
Et je l’ai vu. J’en ai failli mourir de terreur.
J’avais allumé toutes les bougies de ma cheminée et de mon lustre. La pièce était éclairée comme pour une fête. Mes deux lampes brûlaient sur ma table.
En face de moi, mon lit, un vieux lit de chêne à colonnes. A droite, ma cheminée. A gauche, ma porte que j’avais fermée au verrou. Derrière moi. une très grande armoire à glace. Je me regardai dedans. J’avais des yeux étranges et les pupilles très dilatées.
Puis je m’assis comme tous les jours.
Le bruit s’était produit, la veille et l’avant-veille, à neuf heures vingt-deux minutes. J’attendis. Quand arriva le moment précis, je perçus une indescriptible sensation, comme si un fluide, un fluide irrésistible eût pénétré en moi par toutes les parcelles de ma chair, noyant mon âme dans une épouvante atroce et bonne. Et le craquement se fit, tout contre moi.
Je me dressai en me tournant si vite que je faillis tomber. On y voyait comme en plein jour, et je ne me vis pas dans la glace ! Elle était vide, claire, pleine de lumière. Je n’étais pas dedans, et j’étais en face, cependant. Je la regardais avec des yeux affolés. Je n’osais pas aller vers elle, sentant bien qu’il était entre nous, lui, l’invisible, et qu’il me cachait.
Oh ! comme j’eus peur ! Et voilà que je commençai à m’apercevoir dans une brume au fond du miroir, dans une brume comme à travers de l’eau ; et il me semblait que cette eau glissait de gauche à droite, lentement, me rendant plus précis de seconde en seconde. C’était comme la fin d’une éclipse.
Ce qui me cachait n’avait pas de contours, mais une sorte de transparence opaque s’éclaircissant peu à peu.
Et je pus enfin me distinguer nettement, ainsi que je le fais tous les jours en me regardant.
Je l’avais donc vu !
Et je ne l’ai pas revu.
Mais je l’attends sans cesse, et je sens que ma tête s’égare dans cette attente.
Je reste pendant des heures, des nuits, des jours, des semaines, devant ma glace, pour l’attendre ! Il ne vient plus.
Il a compris que je l’avais vu. Mais moi je sens que je l’attendrai toujours, jusqu’à la mort, que je l’attendrai sans repos, devant cette glace, comme un chasseur à l’affût.
Et, dans cette glace, je commence à voir des images folles, des monstres, des cadavres hideux, toutes sortes de bêtes effroyables, d’êtres atroces, toutes les visions invraisemblables qui doivent hanter l’esprit des fous.
Voilà ma confession, mon cher docteur. Dites-moi ce que je dois faire ?

17 février 1885

Texte publié dans Gil Blas du 17 février 1885 sous la signature de Maufrigneuse.