La comunicazione in psichiatria: come si presenta un servizio di salute mentale

Riflessioni a partire dal caso della trasmissione radiofonica 30 di 180 su Radio3Rai.

La comunicazione che vorrei mettere a fuoco non è quella interna al manicomio/servizi di salute mentale e ai soggetti direttamente coinvolti o alle loro relazioni: a scanso di equivoci in ogni caso premetto che ritengo che la dissoluzione dell’istituzione manicomiale – il “grado zero della comunicazione” secondo una fortunata definizione di Franco Rotelli – ha aperto nuove possibilità di espressione – per quanto mai definitivamente e mai pari a quelle dei “normali” – per le persone con disagio psichico oltre che per gli psichiatri e tutti i tecnici; forse meno per infermieri, educatori e personale meno qualificato.

Quel che mi interessava focalizzare insomma è la comunicazione verso l’esterno dei servizi ossia come un servizio si presenta e si promuove.


Non molto tempo fa – in seguito all’ondata di iniziative per commemorazione della legge 180/1978 il programma di Radio 3 Rai Il terzo anello: Radio 3 Scienza ha realizzato una serie di venti puntate intitolate 30 di 180 – Viaggio nell’Italia della salute mentale in cui il giornalista Guido Votano con la collaborazione di Silvia Bencivelli e Diego Marras hanno visitato altrettanti servizi di salute mentale sia pubblici che privati che del privato sociale.

Ogni puntata contiene spunti di riflessione ma – se non altro per la sua storia – il caso più interessante è quello di Trieste e pare che questa sia pure l’opinione degli autori che dedicano ai servizi di salute mentale del capoluogo giuliano (unico caso) due puntate.

Credo che sia molto interessante, significativo oltre che rappresentativo del servizio come questo si presenti.

La prima delle due puntate dedicate a Trieste inizia con una breve introduzione del direttore del Dipartimento di Salute Mentale – già collaboratore di quel Franco Basaglia a cui si attribuisce a ragione (era tra i consulenti scientifici per la compilazione della legge) o meno (lo psichiatra veneziano non si è mai riconosciuto nella legge a cui comunemente viene dato il suo nome) quella legge 180 che dà il nome al programma.

Poi la pressoché totalità della puntata è un monologo di una giovane psichiatra triestina teso a valorizzare la qualità delle pratiche del servizio.

La puntata insomma è caratterizzata da una presenza preponderante se non esclusiva di psichiatri del servizio presentato (in modo inconsueto per il programma a giudicare dalle altre puntate contraddistinte da una coralità di voci diverse: psichiatri, psicologi, infermieri, utenti, operatori di cooperative, psicoterapeuti privati….).

A Trieste l’aspetto comunicativo è stato ed è – almeno lui – sempre molto “curato” (a questo riguardo vedi il testo su Franco Basaglia del fisico collaboratore del Dipartimento di salute mentale nonché vice direttore e responsabile dei contenuti del festival scientifico Fest Nico Pitrelli).

Trieste (come prima la Gorizia basagliana) ha una lunga tradizione nell’attenzione a questo aspetto dell’attività dipartimentale (dal volo sul golfo di Trieste e conseguente film di Silvano Agosti all’animazione di Marco Cavallo fino all’odierna serie di eventi commemorativi della legge 180) e anche nello specifico di questa mezz’ora di trasmissione che prendo ad esempio emerge la politica del dipartimento in materia:

  • è evidente che a prendere la parola siano in preminenza dei medici e tra loro i più anziani secondo una gerarchia e forse una priorità di genere (prima viene il direttore che inquadra poi la giovane che specifica su una base di formule che suonano stereotipate come una lezione imparata e forse neanche del tutto acquisita almeno a giudicare dai numerosi “dobbiamo” e “non possiamo” riferito alla propria attività quotidiana);

  • nessuno spazio per dubbi (come nelle altre puntate dove spesso vengono avanzate perplessità perfino dagli operatori del privato sociale che sarebbero i più interessati a ben apparire per interessi se non altro commerciali) le perplessità vengono allontanate e anche se presentate come possibili o certe quasi scaramanticamente non vengono nominate (si dice che anche a Trieste – e vorrei vedere – ci sono criticità che però non vengono specificate);

  • impossibile non pensare poi alle relazioni e influenze tra mondo psichiatrico e mondo giornalistico/mediatico: per fare un esempio paradigmatico il curatore del cartellone di spettacoli de La fabbrica del cambiamento (serie di eventi che peraltro ha tra i propri promotori e sostenitori proprio la RAI…) è Massimo Cirri che, oltre che psicologo nuovo acquisto – c’è da giurarci non per le sue capacità psicoterapeutiche visto anche come la si (dice la si) pensi in proposito da queste parti – per i servizi pubblici di salute mentale di Trieste, è meglio noto per essere il conduttore del programma radiofonico di successo Caterpillar in onda su Radio2

  • lo scrupolo comunicativo – che raggiunge persino l’aggressività – pare però quello di un operatore commerciale più che quello di un gruppo di scienziati (risulta tuttora che la medicina sia una scienza per quanto circa la psichiatria sussistano diversi dubbi) che promuovono un modello medico e presumibilmente e sedicentemente interessati alla promozione della salute ed emancipazione dei propri “pazienti”. Tutti sappiamo quanto nella comunicazione commerciale il messaggio sia distorto dalla finalità. Finalità che in questo caso non è remunerativa (non direttamente perlomeno); in parte importante è sicuramente uno scontro per l’egemonia interno alla corporazione medica e comunque una questione di potere anche politico; meno credibile l’idea che la finalità sia quella – troppo spesso e troppo clamorosamente sottolineata per poter essere completamente creduta – emancipatoria per gli utenti se non forse nella fase iniziale: sicuramente è stata – nei fatti – emancipatoria per gli psichiatri.

Al di là delle riflessioni estemporanee che l’ascolto di questo programma radio mi ha suscitato – spunti parziali, limitati e superficiali – prima o poi bisognerà pur porsi in modo serio il problema della psichiatria – che sia quella delle vedettes basagliane e/o quella biologica del V.I.P. Cassano et similia – nella società dello spettacolo sapendo comunque che le critiche – che io getto da questo minuscolo angolo della sfera mediatica – non sortiranno l’effetto di aprire nessun dibattito: si sa che questi dottori reagiscono alle critiche o con la criminalizzazione di chi le critiche ha espresso o semplicemente ignorandole