La vulnerabilità della psichiatria italiana

“La legge 180, come ogni legge, non è al riparo dei tempi e, di conseguenza è necessario andare a vedere tutto ciò che nella sua curva ventennale [ora trentennale…], ha trovato sul proprio cammino. Penso innanzitutto, nel contesto della cosiddetta crisi del welfare, all’aziendalizzazione della sanità pubblica ed alla cesura in ciò che si chiamava sinteticamente, fino a qualche tempo fa, il “sociosanitario”. Oggi la sanità pubblica predetermina la domanda sanitaria in base a budget e centri di costo, mentre tutto ciò che non attiene direttamente alla cura e riguarda l’integrazione sociale (casa, lavoro, ricostituzioni di reti relazionali), viene delegato al privato più o meno sociale. Oltre al fatto che il privato sociale sta diventando l’accogliente zona grigia in cui si istituzionalizza una parte del precariato, è interessante notare che, in questa zona grigia dove viene resa precaria e imbrigliata la possibilità stessa di un’autonomia e di un’intelligenza sociali, il pubblico e il privato trovano un terreno molle, una zona franca in cui agire come se fosse un privato cittadino e il privato può gestire come se fosse un ente pubblico*.

Detto in maniera più franca: in primo luogo, i partiti possono amministrare, direttamente nel tessuto sociale, i propri interessi politici ed economici, attraverso le grandi lobbies dell’associazionismo e del cooperativismo. Questa non è una novità, ma il problema è che, considerando le potenzialità di sviluppo del “mercato sociale”, si aprono nuovi orizzonti. In secondo luogo, gli enti o i servizi pubblici possono recuperare risorse politiche ed economiche (di cui non dispongono più direttamente, a causa dell’arretramento complessivo dello stato come soggetto di prestazioni sociali), colonizzando il privato sociale: controllando, talvolta manipolando le associazioni e le cooperative attraverso una forte ingerenza, tanto ideologica quanto direttiva nella gestione dei servizi sociali per i quali queste ricevono finanziamenti o compensi. In terzo luogo – e questo è anche l’unico spettro che di solito viene evocato, a sinistra – il signor de Paperoni apre una catena di magnifiche cliniche private, spacciandosi per privato sociale quando non è possibile convenzionarsi come semplice privato.

In conclusione, l’aspetto più preoccupante della faccenda mi sembra il seguente: la guerra ideologica tra pubblico e privato – come accade ogni volta che si ricostituisce una scena antagonistica, binaria e la politica prende la forma di uno scontro finale – determina una bellicosa e cieca alleanza tra il pubblico e il privato, tanto più ostili sul piano ideologico, quanto più fraterni nell’assunzione incondizionata del paradigma “economico”. Questa è forse la nuova frontiera istituzionale, una frontiera tanto più difficile da varcare in quanto non si tratta di una soglia, bensì di un nodo che stringe le società nella morsa di due modelli antagonistici di governo economico. Ricordiamo quanto sia stato difficile sciogliere il nodo giuridico-scientifico del manicomio. La difficoltà dunque resta, ma il manicomio si progetta forse altrove e diversamente.”


*: nota dell’autore: Sulla crisi del welfare e sull’emergenza del mercato sociale, in cui si miscelano diversamente l’azione dello stato, del mercato e del terzo settore (associazioni di volontariato, cooperative sociali, organizzazioni nonprofit), cfr. O. De Leonardis In un diverso welfare. Sogni e incubi, Feltrinelli, Milano, 1998. L’autrice parla di «quadratura del cerchio», per ciò che concerne i due fenomeni concomitanti della «crescita economica senza occupazione» e della «moltiplicazione dei problemi sociali» (p. 69): «[…] la potenzialità economica del settore dei servizi alla persona costituisce anche una promettente risposta al problema della disoccupazione, essendo esso tipicamente labour intensive. Si profila dunque una sorta di quadratura del cerchio nella quale domanda e offerta d’interventi sociali s’incontrano, e i problemi sociali vengono trattati insieme con – e grazie a – i problemi occupazionali: là dove alcuni trovano un programma di riabilitazione lavorativa altri trovano un posto di formatore; e la disoccupazione si combatte con i lavori socialmente utili» (p. 16).

«Vi possono insomma essere servizi pubblici che […] hanno un’impronta privatistica; e vi possono essere servizi privati o imprese nonprofit che invece assumono quella responsabilità pubblica, sociale, di produrre beni pubblici…» (p. 75)