Mario va a dormire

Mario va a dormire: la sua voce da basso profondo accompagna i suoi gesti. Lenti. Anche la sua cadenza è lenta. Talvolta rivela le sue lontane origini.
Straniero.
Straniero ANCHE QUI verrebbe da dire.
Si potrebbe pensare che i suoi gesti e la sua voce siano legate dalla stanchezza ma se ci si guarda intorno si capisce che c’è un di più. Intanto Mario, mentre forse sta già dormendo, continua a borbottare frasi che a scriverle una in fila all’altra chissà che rivelerebbero. Ma Mario parla a bassa voce, lentamente, si mangia le parole, parla per sé non per chi ascolta e quindi dopo un paio di frasi si abbandona l’intento e rimane il dubbio su che ci si stia perdendo.
Ci sono periodi in cui Mario non dorme per giorni, talvolta per settimane quindi il fatto che si corichi addirittura indossando un pigiama mi stupisce. Forse dormirà. Spero. Ma temo si sveglierà nel cuore della notte quando tutta la sua flemmatica lentezza cederà a una vitalità difficile da attendersi ora.
Invece no: stanotte Mario dorme. Dorme a lungo.
Lo guardo, mentre dorme. Mi sorprendo mentre lo guardo a lungo e forse con inaspettata tenerezza. Continuo a guardarlo: la sagoma del suo corpo magro si intuisce sotto le coperte. L’irriducibile segno della sua carcassa nel sonno domattina tornerà ad essere umano. Probabilmente tutta la tenerezza che forse intuisco ora domani non sarà neppure un ricordo di fronte alla sua strana umanità. Ma forse non è tenerezza è piuttosto nostalgia. Non nostalgia di qualcosa che è già stato: nostalgia di qualcosa che sarà. Forse.

Ma domani è un altro giorno. È sempre un altro giorno.