Microeconomia psichiatrica ovvero “chi non ha non è”



Anche non concentrandosi sull’aspetto per così dire “macroeconomico” della psichiatria (quello che riguarda capitoli di spesa, appalti, convenzioni, sovvenzioni e quant’altro rientra nel bilancio di un dipartimento di salute mentale: l’aspetto più oscuro per gestione e imponente per mole di denaro, commistioni con politica e imprenditoria sociale o privata), in favore di quello “microeconomico”, ovverosia quello che riguarda le proprietà degli “utenti”, avremo a che fare con una quantità di beni notevole e una estrema mancanza di chiarezza.

Il discorso non è nuovo: dal manicomio con i suoi ricoverati ricchi internati per evitare che accampassero pretese sui possedimenti di famiglia e quelli poveri che ricevevano visita solo alla propria morte per via dell’eredità fino a quanto sottolineato da Nicola Valentino nel suo libro Istituzioni post-manicomiali sulla gestione del denaro nelle recenti strutture residenziali.

Resta il fatto che quando una persona varca la soglia di un servizio psichiatrico tra le altre cose viene – de jure o de facto – limitata (se non esclusa) nella gestione dei propri soldi e proprietà.

Non tutti quelli che accedono a un servizio psichiatrico passano questa sorte però chi per propria sventura e/o altrui colpa/responsabilità li abita per diverso tempo ne sarà quasi sicuramente vittima.

Questo è dovuto anche alla invalidazione giuridica della interdizione e della inabilitazione che neanche la legge 180/’78 ha intaccato.

La recente nascita della figura dell‘amministratore di sostegno poi, da molti vista come presidio per evitare l’invalidazione dell’interdizione con conseguente stigma e impossibilità di esercizio dei propri diritti patrimoniali, nei fatti non ha cambiato nulla se non che in misura maggiore o minore servizi e amministratori gestiscono di concerto la “torta” anziché come accade con i tutori vivere una dialettica (piuttosto illuminista per la verità) per la gestione dei beni degli “utenti” ma in ogni caso escludendo il diretto interessato con un procedimento che nel migliore dei casi si può definire paternalista.

C’è da dire inoltre che pure le persone che non subiscono una processo di interdizione ma vengono psichiatrizzate più o meno a lungo in moltissimi casi di fatto non hanno la possibilità – suppliti da psichiatri, assistenti sociali, operatori psichiatrici et al. – di gestire liberamente i propri possessi  che come fiumi carsici senza lasciare traccia può succedere si perdano in mille torrenti e ruscelli di maggiore o minore entità a seconda di chi ne ha deviato il corso.

Questo “carsismo” è dovuto forse alla particolarità delle persone che di solito ne vengono loro malgrado coinvolte ma di certo al carattere totalizzante dell’universo psichiatrico che rimane tuttora caratterizzato non dalle proprie “avanzatissime” teorie ma dalle proprie istituzioni dove i movimenti di denaro sono scarsamente controllati e controllabili per cui nascono molti dubbi sul loro effettivo percorso ed uso.

Ma questo rischio oggi come ieri non importa a nessuno visto che i diretti interessati – non sono in grado o hanno altro di cui occuparsi e chi ne è personalmente coinvolto ad altro titolo troppo spesso – malgrado i presunti motivi etici, affettivi e/o deontologici – se ne disinteressa o ha interessi contrastanti.

E se resta valido l’adagio calabrese spesso citato da Basaglia secondo il quale “chi non ha non è” chi viene in qualsiasi modo privato del diritto di gestire i propri beni di fatto non è…

Una risposta a “Microeconomia psichiatrica ovvero “chi non ha non è””

  1. Sto leggendo il tuo blog, che trovo veramente molto interessante. Non ne so niente di ex ospedali psichiatrici, ma devo ammettere che sto trovando un mare di analogie con altri settori, soprattutto nella frase che riporti in questo post “chi non ha non è”.

    Un saluto

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