Pago ma non troppo

pagRientrato dalle vacanze a Pago.

Dalmazia Settentrionale: Pago è un’isola, ma a ben vedere si tratta di diverse isole unite vista la difformità delle varie zone e il profilo estremamente frastagliato (per una lunghezza totale di circa 60 chilometri si calcolano circa 250 di costa). Chi ne sa di più forse potrebbe perfino giustificare questa affermazione da un punto di vista geologico.

Ci siamo finiti un po’ per caso, per un’offerta trovata in rete. Pago ci aveva diverse volte tentato nei nostri precedenti giri lungo la Jadranska Magistrala offrendoci il suo spettrale versante orientale – esposto alla bora e per questo completamente privo di vegetazione – torreggiato a tratti da enormi pale eoliche.

Pago dunque. Isola tesa tra Quarnero e Dalmazia. Guardava a Venezia, stretta tra Arbe e Zara. Sessanta chilometri di lunghezza che fiancheggiano la costa settentrionale dalmata paralleli all’azzurro e maestoso massiccio del Velebit o alpi Bebie come c’è chi le chiama.

Pago è schizofrenica. Storicamente divisa per aree di influenza (la parte nord gravita su Arbe-Fiume, quella sud su Zara). Tuttora è amministrativamente divisa in questo senso. La tensione economica verso Fiume è evidente (anche il nostro ospite è fiumano), la vocazione dalmatica dell’isola del resto è chiara fin dalle varie scritte che inneggiano all’Hajduk Split: la squadra calcistica di Spalato simbolo e bandiera dei dalmati.

Il movimento socialista e anarchico a Spalato era (oggi probabilmente no) legato all’Italia: a differenza dei socialisti di Zagabria più inclini all’austromarxismo, quelli di Spalato, anche da un punto di vista estetico: barba e capelli lunghi alla Cafiero o Orsini, tendevano verso gli internazionalisti dello stivale italico. Faccio questo inciso perché c’era a Spalato una squadra dal significativo nome Anarh: peccato non sia quella la compagine bandiera dei dalmati che pur restano in certa parte discendenti di pirati. Per inciso la squadra in questione esiste ancora pur con il nome cambiato in Radnički nogometni klub Split che in italiano suona Associazione Calcistica dei Lavoratori Spalato.

Ma quali motivazioni ci sono per venire a visitare Pag che non sia una offerta per quanto economicamente allettante o una curiosità quasi leopardiana di scoprire cosa celi quella brulla scogliera?

Me lo sono chiesto prima di venirci senza riuscire francamente a rispondermi.

Pago è turisticamente nota per la sua vita notturna, le discoteche sulle spiagge che l’hanno resa l’Ibiza dell’Adriatico. Insomma una fama a mio avviso piuttosto inquietante. Inquietudine perfettamente tangibile quando vedi giovani persi collassare sulle panchine di Pago o il traffico di quad, scooter, sci e moto d’acqua nei pressi della spiaggia di Zrće.

Fuggendo quindi al delirio di Novalja, attraversando un paesaggio lunare giungiamo a Mandre. Mandrie in italiano. Curiosa coincidenza per noi che a Monfalcone abitiamo in zona Mandrie. Mandre era un minuscolo villaggio di pescatori. Negli anni ’30 vi sfollano gli abitanti del vicino paese di Kolan nell’entroterra in fuga dalla malaria endemica in queste isole, altro particolare che le accomunava a Monfalcone.

Strano destino di Monfalcone dove ti puoi immaginare di essere ovunque e che ovunque trovi cose (solitamente negative c’è da dire) che te la ricordano. Ma questa, oltre ad essere un’altra storia, non è una prerogativa solo della città dei Cantieri…

Tornando a Mandre, è negli anni Sessanta e Settanta che inizia a svilupparsi un turismo che per fortuna, a differenza di altre zone dell’isola, è tutto sommato rispettoso del territorio (niente palazzoni o alberghi ma solo casette per affitti di appartamenti e camere). Turismo per famiglie, spiaggette gradevoli con fondali meravigliosi, locali tranquilli, verde. Diventa la nostra base per incursioni nel resto dell’isola.

Approfittando di una giornata uggiosa, inadatta alla vita balneare, visitiamo Pago, il capoluogo dell’isola. Arrivando ci fermiamo in un belvedere da dove si gode di un panorama mozzafiato in cui la cittadina, che giace in un’insenatura, ha lo sfondo delle colline dell’isola arse dal sale e dalla bora e ancora più dietro il Velebit sfumato dalla foschia. Le cose sembrano promettere bene anche se le decine di turisti chiassosi in sosta dovrebbero già farci capire quel che ci aspetta. Scendendo verso la cittadina (tremila abitanti: poco più di un paese al netto dei turisti) lambiamo la costa letteralmente stuprata da un’edilizia a fini turistici. La cittadina avrebbe potuto essere una perla con la sua pianta studiata da Giorgio Orsini (o Juri Dalmatinac a seconda delle preferenze) nel XV secolo (prima pietra posata nel 1443). Un piano regolatore piuttosto precoce. Meno attenti qui come altrove in Dalmazia (ricordo ancora con orrore lo sviluppo bestiale di Primošten-Capocesto) sono oggi (ma se ahimé penso a quanto sta accadendo a Sistiana con Porto Piccolo devo riconoscere che il problema è comune…). Gli edifici arsi dalla bora vengono stuccati con gesso e sputo o poco meglio; la bella piazza principale (così come quelle attigue) è letteralmente infestata da gazebo, tavoli e tavolini per bar, gelaterie e ristoranti; il lungo mare è invaso di bancarelle, ragazzi ubriachi, tavolini che promuovono gite in barca che a modico prezzo garantiscono sangria i rakija gratis oppure love party: barcalupanarepraticamente feste di palazzo Grazioli alla portata di tutti nella stupenda cornice del mare dalmata. Dalla pirateria alla puttaneria. Non è questione di moralismo ma di squallore. Investendo in questo modo – forse dopo la pausa forzata dovuta alla “guerra patria” degli anni ’90 – anche qui si sta distruggendo il proprio futuro. Per le strade talvolta vecchie  offrono i loro merletti vestite di nero (il tradizionale vestito nero delle donne di Pago è memoria di un antico tributo imposto dopo l’ennesima razzia dallo scomodo vicino zaratino: Zara non fu mai clemente con Pago). I merletti di Pago pare siano una antica tradizione. Perfino la sarta di Maria Teresa d’Austria era una merlettaia di Pago. Io non sono appassionato di questo genere di arte e forse posso apparire rozzo, ma ritengo che i merletti (non solo quelli di Pago) non abbiano senso di esistere. Li trovo brutti (e questo è il mio gusto personale), vecchi (li associo alle mie nonne che li usavano come centro tavola o negli armadi per appoggiarci i bicchieri), economicamente del tutto privi di senso. Un merletto di Pago non costa poco. Anche quelli più piccoli costano più di quanto io personalmente non sia disposto a spendere (i più piccoli – 10 cm/q circa – venduti a non meno di 30 €) e ciononostante garantiscono alla merlettaia che lo ha fatto (il lavoro è estremamente complesso e lungo) una paga di circa 1 € l’ora. Trovo ridicolo che in un posto in cui si fa di tutto pur di guadagnare a tutti i costi sopravviva un’attività così poco redditizia. Voglio leggerlo come un tentativo di sopravvivenza di una coscienza sociale propria e provo tenerezza per queste vecchie teatralmente vestite (?) e con le acconciature tradizionali che esaltano i capelli unti di sudore e di fritto.

piorispagI motivi per andare a Pago dicevamo. Non l’arte o la cultura. Credo che Pag sia l’unica isola in tutta la Dalmazia in cui semplicemente non esiste una località che sola valga la pena del viaggio. Pag d’altra parte, e a dispetto di un territorio duro e talvolta inaccessibile, è l’isola che vanta il maggior numero di prodotti tipici riconosciuti. I merletti dicevamo ma anche molto altro. Il formaggio ad esempio. Il formaggio di Pago (Paški Sir) è un formaggio di pecora duro salato in cui si sente il sale dell’Adriatico scagliato dalla bora sulle piante aromatiche di salvia, rosmarino e timo brucate dalle pecore. A Pago per ogni abitante ci sono circa 3-4 pecore: circa 36000 in tutto pressapoco. Sembra tanto invece il formaggio di Pag non conosce esportazione. Il migliore è per uso interno (proprio verrebbe da dire), il resto viene spacciato ai turisti. Esiste il problema che i piccoli produttori, anziché riunirsi in cooperative o altre forme di associazione, preferiscono fare da soli il poco formaggio che riescono e poi venderlo ai turisti. La piccola produzione però non è garanzia né di qualità né di convenienza anzi… I prezzi così sono alzati dallo sciacallaggio che possono permettersi per la variabilità della domanda (Pago non ha un turismo fidelizzato per cui anche se tiro il bidone all’austriaco o all’italiano di passaggio non perdo clientela o credibilità) per contro non garantiscono nessuna qualità anzi la stessa forma originaria – se ha un senso questa espressione – del formaggio di Pag si sta perdendo. In sostanza questo prodotto risulta uno specchio per le allodole che viene sbandierato ma su cui si investe molto poco in termini concreti. Ciò non significa che non ci sia qualcuno che stia provando a perpetuare la tradizione (per quanto a prezzi salati) realizzando comunque un buon prodotto.

olivolunStessa cosa con l’olio. L’olio dalmata è realmente buono. Ottimo direi. Aromatico, quasi piccante. A Pago la produzione olearia è concentrata nell’estremo lembo settentrionale dell’isola nei pressi di Lun (punta Lun, o Pantalùn come pare la scherzassero i veneziani). Per arrivarci si attraversa una lunga zona coltivata ad ulivi con una parte di ulivi secolari realmente impressionante nonostante il mio trascorso vagare in terra di Puglia. Un paio di difetti dell’olio dalmata e di Pago in particolare: scarsa produzione e prezzo esagerato (10 € al litro al turista grosso modo).

Il sale – storica fonte di sostentamento (ma anche di guerre) della città di Pago che tuttora ne vive con i suoi 2.5 milioni di m/q di saline collocate in prossimità della località di Gorica o Gorizza – ha una produzione industriale e non avendo quindi neppure il valore del prodotto tipico non merita parlarne.

spiaggiaSplendore e miseria delle isole dalmate. È piuttosto noto che diverse isole della zona siano state sede di campi di concentramento. Una galassia concentrazionaria incastonata nel blu. Arbe, San Gregorio (Sveti Grgur), Isola Nuda (Goli Otok) sono state usate dai diversi regimi dittatoriali neri o rossi che fossero per internare gli oppositori. Diversi comunisti monfalconesi sono (tra)passati inviati dal compagno Tito per Goli Otok, e forse anche a Sveti Grgur, per la loro fedeltà a Stalin. Arbe o Rab (o Arbissima per alcuni un po’ di tempo fa) è stata la sede di uno dei più terribili campi di concentramento italiani per sloveni e croati. Prima o poi dovrò pure andarci. Ora, negli edifici che all’epoca erano adibiti ad ospitalità di militari, c’è il manicomio. Istituzione totale per istituzione totale.

Anche Pago ha avuto i suoi campi di concentramento. Perfino due: uno a nei pressi di Pago l’altro a Metajna. È qui che il regime ustascia di Ante Pavelic, benedetto dal vescovo Stepinac, ha fatto liquidare 10.000 ebrei croati e serbi (per rendersi conto della crudeltà di questi campi basti pensare che la strage venne fermata dall’esercito fascista – quello del “si ammazza troppo poco” di Robotti – inorridito dalle efferatezze dei nazionalisti croati).

È realmente sconvolgente come in posti così belli (non mi vengono parole più adeguate) possa essere accaduto qualcosa di simile. Credi sia impossibile possa esistere qualcosa di spensierato in località che hanno visto tanto dolore. E invece no. Il turismo qui è estremamente spensierato e di certo qui non si sta a ricordare (con rammarico perlomeno) un po’ di ebrei, serbi o comunisti liquidati diverse guerre fa. D’altra parte è anche naturale che sia così e pure io me la sono passata bene pur consapevole di quanto accaduto in queste lande.

Bisogna però ammettere che un buon motivo per venire a Pago sono le spiagge. Noi abbiamo preferito evitare quelle maggiormente affollate (Zrće, Caska e altre) che comunque sono molto belle, servite (forse troppo) e direi quasi caraibiche (perlomeno nel cliché di spiaggia caraibica che ho anche io che ai Caraibi non ho mai messo piede). D’altra parte Pago, con sessanta chilometri di lunghezza e costa estremamente frastagliata, propone angoli superbi di mare in ogni dove. Per gli amanti del naturismo una goduria (anche se, qui come altrove, per starsene realmente in pace la soluzione ottimale sono i campeggi FKK non sempre accessibili per i non campeggiatori). Noi abbiamo trovato diverse spiagge veramente stupende nei pressi di Metajna. Al di là della folgorante spiagga di Ručica, forse la più bella in cui io sia mai stato, a Dražica, dopo una strada in discesa scoscesa, fortunatamente asflatata di recente, spiaggia di ghiaino con mare trasparente e sullo sfondo i chiari colli di Pag. Oppure Prnjica dove con due euro di parcheggio e quattro passi (quasi di numero) si accede ad una bella spiaggia dove immergersi senza imbarazzi completamente nudi in un mare turchese. Ma anche Šimuni con la sua pineta e campeggio FKK o Mandre stessa con il suo splendido fondale e le sue calette.

Insomma Pago è un posto intrigante, con una natura prepotente che realmente ti trascina e fa scordare anche le miserie e aridità, che nel bene e nel male sono uno dei punti di forza dell’isola. Non credo ci tornerò – ma la mia dromomania vacanziera rende piuttosto difficile una mia visita ripetuta in qualsivoglia località – ma sono comunque soddisfatto di esserci stato ed essermi riempito gli occhi di sole e mare, le narici di sale e aromi di salvia, il cuore di calore, la mente di suggestioni…

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Consigli di lettura:

Guida corposa e necessaria: Dario Alberi Dalmazia, Lint, Trieste

Altro testo utile soprattutto per chi fa diporto (anche se risente dell’impostazione curata dall’Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata) è Albero Ferri Dalmazia Arte Storia Portolano, Edizioni Italo Svevo, Trieste.

Da evitare la – altrove preziosa – guida Lonely Planet: pessimi consigli soprattutto su ristoranti e spiagge. Idem per la National Geographic approccio alla Croazia come se fosse il favoloso Catai. Per quanto riguarda Pago la solitamente preziosa guida verde del Touring Club è praticamente inutile.

Consiglio (anche se non mi hanno accompagnato in questo viaggio) i libri di Giacomo Scotti Andare per isole; I pirati dell’Adriatico; Fiabe e leggende dell’Istria; Goli Otok italiani nel Gulag di Tito e Goli Otok ritorno all’isola calva.

Sulla questione Isola Nuda e monfalconesi consiglio il bel libro sulla storia di Mario Tonzar dell’amico Sandro Morena La valigia e l’idea, CCM, Ronchi.

Vedi anche Claudio Magris Microcosmi; Un altro mare (anche se tratta più Istria e Quarnero).

Folgorante scoperta di questo viaggio: Alessandro Marzo Magno Il leone di Lissa, Il Saggiatore. Un ottimo inizio per attraversare la Dalmazia e non rientrare solo ubriachi di sole, mare, pesce e ćevapćići.

Confesso una mia lacuna: non ho mai letto il libro di Rebecca West sui Balcani.