Quando si dice portarsi il lavoro a casa…

Ieri sera dopo un pomeriggio molto teso – come spesso ultimamente al reparto 6 – visto anche che:

1° i due giorni precedenti la vita del reparto era stata gestita tutta da “sostituti” ovvero persone che con un contratto precario – e comunque raramente con la qualifica di socio: cosa possibile in cooperativa solo dopo la promulgazione della legge cosidetta “Biagi” che seppur criticata anche da parte di Legacoop come si vede viene usata senza nessun pudore – vengono assunte – in maggior numero in concomitanza con il periodo estivo – per “coprire” i turni lasciati scoperti appunto dagli operatori di ruolo per ferie-malattie-infortuni e quant’altro. Nella maggior parte dei casi giovani al loro primo impiego che vengono rimpallati come palline di un flipper da un servizio all’altro senza nessuno scrupolo per i loro diritti né per la qualità del servizio erogato…

2° la mattina un solo operatore – ovviamente appartenente a questa categoria di “sostituti” – si era dovuto portare avanti tutto il fardello della quotidianità di una struttura con persone con disturbo mentale severo…

Questo – insieme a tanti altri piccoli dettagli che per brevità evito ma che meriterebbero di essere denunciati – comporta ovviamente uno stato di confusione gestionale e di difficoltà di vita e relazione per abitanti e lavoratori del reparto.

Ma torniamo a noi: uscendo da questa situazione per godermi il meritato riposo – prima del doppio turno che come sempre segna la fine della mia settimana lavorativa – a casa dopo essermi rilassato un po’ me ne vado a letto verso le undici.

Appena a letto neanche il tempo di leggere due righe di un libro inizio a sentire dall’appartamento a fianco rumori e voci.

Nell’appartamento dirimpetto al mio vive un’anziana ultranovantenne vedova che circa due mesi fa è stata vittima – in una calda notte estiva – di un episodio allucinatorio in seguito al quale è stata per un lungo periodo ospitata dal figlio medico il quale – in conformità alla sua preparazione medico biologica – subito si è sincerato che non ci fossero motivi organici a causa di questi sintomi vennendo smentito da T.A.C. e risonanza magnetica.

Ponendo maggiore attenzione ai suoni provenienti dal di là del muro inizio a sentire oltre a rumori di mobili spostati e porte che si aprono e chiudono la voce della mia vicina. I muri sono spessi ma il silenzio della notte permette di distinguere abbastanza bene le parole della signora anche per l’alto volume della voce dovuto alla sua quasi totale sordità. Sento che inveisce contro qualcuno ben sapendo però che in casa non c’è nessuno oltre a lei. Iniziamo a preoccuparci: già in passato ha rischiato di bruciare la casa non riuscendo a spegnere il gas, siamo comunque al secondo piano e inoltre si inizia a sentire aprire e chiudere anche la porta dell’ingresso: scoppierà l’edificio? Si butterà? Se ne andrà chissà dove?

Va beh…

Comunque al di là delle battute ho ritenuto necessario andare a vedere che succedeva e cercare di rassicurare la signora.

Quando la sento sul pianerottolo colgo l’occasione e la raggiungo. Lei comincia a strillare per le scale rischiando di svegliare tutto il palazzo. Subito inizia dicendomi che casa sua è piena di uomini neri che quando li si scorge si rimpicciliscono fino a scomparire e nascondersi dietro gli armadi o scivolanare oltre i muri. A un certo punto asserisce convinta che si tratti di zingari: “sloveni” dice “anzi no peggio: croati!” tradendo il suo risentimento di esule istriana (alla faccia di chi dice che il delirio è sempre e solo legato a mammà-papà). Cerco di rincuorarla dicendo che non mi pare ci sia nessuno e che in ogni caso può star tranquilla visto che noi siamo nell’appartamento accanto e possiamo aiutarla in ogni momento. Ogni mia parola non la convince anche perché la comunicazione è viziata dalla sua sordità complicata dalla cataratta per cui in realtà mi rendo conto che il più delle volte tra di noi non passa nessun messaggio: decido di salutarla e così interrompere i nostri due monologhi. All’inizio pare che si sia un po’ aquietata ma subito la risento con il suo ritornello. Decido allora di chiamare suo figlio per descrivergli la situazione e chiedergli come comportarmi. Lui mi dice che era tempo che non faceva così, di stare comunque tranquillo, che gli dispiace che ci disturbi, che comunque è “inoffensiva”: al che mi viene da dirgli: “ma cazzo mica ho paura che mi pesti!” però me lo risparmio pensando al suo dolore e al suo disagio di fronte a questa situazione.

In ogni caso a questo punto me ne sono andato a dormire: rigirandomi nel letto nel corso della notte sentivo la voce della signora che continuava a discutere sola…

Come se non bastassero le notti in reparto…