Ricordo di Claudio Venza

da Germinal n. 132, gennaio 2023

Non avevo neanche vent’anni ed ero appena arrivato a Trieste all’università. Fu naturale per me – che frequentavo a Udine il Centro sociale – affacciarmi al circolo anarchico Germinal che allora aveva sede in via Mazzini.

Fu lì che vidi per la prima volta Claudio.

In realtà non la prima volta che ci andai – ricordo che non sempre veniva negli orari di apertura – ma una delle successive. Aveva borse e libri, mi fece pensare al Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie per questo suo arrivare sempre trafelato e la frenesia che aveva nel parlare e nel proporre idee, iniziative, storie e concetti. Una volta venne con sua figlia Zoe, allora bambina, che mentre noi discutevamo disegnava: credo che quel disegno sia ancora appeso da qualche parte nella nuova sede del Germinal.

Quando Claudio si accorse di me si presentò per la prima volta: nei successivi due anni si presentò credo almeno una decina di volte prima che iniziasse a ricordarsi di me.

Subito iniziò a consigliarmi libri: prima introduzioni al pensiero anarchico, poi testi di storia sulla rivoluzione messicana e su quella spagnola. Si trattava quasi sempre di autori sudamericani, in quel periodo io frequentavo molti argentini e Claudio assecondava questo mio interesse anche intellettuale. Questa forma di gentilezza nel supportare i miei interessi poi l’ha avuta sempre aiutandomi ad approfondire studi e ricerche accademiche o fatte per militanza.

Negli anni in cui ho frequentato l’università partecipavo con una certa regolarità alle riunioni al Germinal. Mi piaceva molto il clima che la vecchia componente – oltre a Claudio anche Paola e Clara – era riuscita a creare e a mantenere nonostante noi più giovani fossimo talvolta turbolenti. C’era una certa aria di famiglia e in effetti taluni dei frequentatori e delle frequentatrici di quello spazio imparentati lo erano davvero! Con nostro sommo divertimento talvolta Igor – nipote di Claudio – si rivolgeva a lui, sobillato da Fabio o altri, chiamandolo zio.

Di quel periodo ricordo la conferenza a Pordenone contro Aviano 2000 e la fiera dell’Autogestione a Prato Carnico.

Della fiera dell’autogestione ho molti ricordi con Claudio. Lui frequentava abitualmente la Val Pesarina dove l’anarchico Ido Petris all’epoca gestiva la Casa del Popolo. Andammo qualche giorno prima per allestire gli spazi. Con noi persone da tutte le parti d’Italia. Una sera andammo a Udine con Claudio, Walter di Bologna e altri con un auto prestata da qualcuno. Era la prima volta che vedevo guidare Claudio: non pensavo neppure avesse la patente. Solo una o due altre volte mi capitò di vederlo con in mano il volante. A Udine eravamo andati a fare un attacchinaggio, i friulani si erano dissociati dalla fiera e nessuno aveva affisso locandine nel capoluogo friulano. Io in quanto nativo della città fungevo da guida. Prima di rientrare passammo per una chiacchiera sia al CSA allora in Via Volturno che al Dopolavoro ferroviario dove ci intrattenemmo con Giulia e Alberto. Il Centro Espressioni Cinematografiche non aveva ancora avuto l’esplosione commerciale che poi ebbe soprattutto in seguito al festival Far East ed aveva una piccola sede romantica e grigia dietro alla stazione. Là vedemmo un corto di Usmis – il collettivo controculturale friulano – con protagonista il poeta carnico Leonardo Zanier che poi sarebbe stato proiettato alla fiera dell’autogestione a Prato.

Dei miei anni triestini con Claudio ricordo una cena sul tetto della sua casa di via Diaz sulle rive con una visuale magnifica. C’erano libri ovunque: persino il bagno era pieno di mensole stracolme!

Una sera poi eravamo ad una iniziativa in sede in via Mazzini a tema anticlericale. La ricordo come una serata divertente e leggera. Ci attardammo in chiacchiere e in chiusura in una decina scendemmo tutti insieme. Davanti al portone, mentre ci scambiavamo gli ultimi saluti, una volante della polizia ci fermò e volle identificarci. Era evidente lo scopo intimidatorio. Per circa tre quarti d’ora nonostante le nostre proteste ci trattennero. Claudio dopo l’ennesimo rifiuto di restituzione dei nostri documenti si scaldò. Iniziò ad inveire contro i poliziotti. Ero abituato a vederlo sempre pacato e la cosa mi colpì. La reazione strafottente delle guardie fece esplodere Claudio che si sentì male e venne poi portato via in ambulanza. Il primo colpo al suo grande cuore.

Gli anni passavano e la fine degli esami all’università e altre vicende mi avrebbero allontanato da Trieste.

Alcuni anni dopo – ormai stabilito a Monfalcone – rientrai in contatto diretto con Claudio per motivi di militanza: avevamo fondato un gruppo anarchico nella città dei Cantieri e diverse volte venne per iniziative sulla storia di Umberto Tommasini o su piazza Fontana. Fu in questa ultima occasione che decisi di chiedere al professor Venza di farmi da relatore per la tesi di laurea. Fino a quel momento da un punto di vista accademico non avevamo avuto a che fare: decisi di non dare il suo esame e ci eravamo incrociati solo per una mia eventuale partecipazione all’Erasmus in Spagna che poi non feci.

Lo scrupolo nel lavoro di Claudio era quasi estenuante, mi correggeva anche le virgole anche se con l’ironia e la leggerezza che lo caratterizzava. In ogni caso questa pignoleria era ampiamente bilanciata dal sostegno che mi dava nella ricerca e delle risorse che mi metteva a disposizione (a partire dalla sua meravigliosa biblioteca e dal suo archivio: il più grande archivio personale che io abbia visto). Andare a colloquio da lui nella sua casa a Punta Sottile dove si era trasferito per fuggire dalla frenesia cittadina che metteva a rischio il suo cuore e i suoi nervi era sempre un piacere. Il mare avvolto dal grigio della nebbia e l’attesa del confronto con il mio esigente relatore sono sensazioni tuttora vivide. Le emozioni più piacevoli in un periodo per me turbolento in cui Claudio è una delle persone che mi è stata più vicina.

Fu in una di quelle visite a Punta Sottile che mi affidò la mostra fotografica sui bombardamenti fascisti in Catalogna. Organizzai quindi l’esposizione diverse volte – a Monfalcone, Turriaco, Villesse… – e ogni volta era l’occasione per la partecipazione del professor Venza e per poi trascorrere una serata insieme con Claudio.

Nel 2017 nacque finalmente il Caffè Esperanto: uno spazio anarchico a Monfalcone che mancava da quasi un secolo. Claudio ne era entusiasta e le sue telefonate, se possibile, si infittirono. Ho sempre ammirato la meticolosità con cui curava la sua agenda telefonica e la costanza con cui lui chiamava credo tutte le persone su quella rubrica infinita per informarsi di vicende personali, intellettuali e di movimento. Non solo le telefonate però erano il modo di sostenerci: venne alcune volte per delle iniziative e nei momenti di bisogno ci aiutò anche economicamente.

Anche negli ultimi anni ci siamo continuati a sentire e vedere con regolarità. Quando potevo andavo a trovarlo e ci sentivamo costantemente fino all’ultimo. Ricordo una cena a casa sua con la mia attuale compagna che ancora non aveva conosciuto e con Simonetta con cui aveva da poco pubblicato un libro.

Dopo il suo primo lungo ricovero di un anno fa mi chiamò e mi chiese di vederci. Andai a trovarlo e seppure molto segnato nel fisico lo spirito era quello di sempre. Volle regalarmi degli abiti visto che avevamo grosso modo la stessa taglia e chiacchierammo finché la stanchezza glielo permise. Credo sapessimo entrambi che sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti. Mi ero riproposto di andare da lui anche per dirgli che gli volevo bene. Credo di averlo fatto, ma quel nostro ultimo incontro è un ricordo quasi onirico.

Anche durante il suo successivo ricovero ci siamo sentiti con regolarità. Ci scrivevamo più che altro. Non spesso in realtà, preferivo non essere assillante. Gli ultimi messaggi che ci siamo scritti erano a proposito di un locale a Monfalcone in cui, dopo una manifestazione anni prima, eravamo andati a bere un bicchiere e mangiare del pesce. Forse questi ultimi scambi racchiudono un po’ di tutto quello che la nostra relazione ha significato: la lotta comune per un mondo più libero e giusto, ma anche il piacere e la voglia di stare insieme, godere delle cose della vita e condividerle.



Avevo intervistato Claudio Venza per Konrad per i 110 anni di Germinal