Rom e Sinti nella Resistenza e nella storia

Discorso tenuto in via Anton Lazzaro Moro, presso la lapide in onore di Giovan Battista Periz «Orio», medaglia d’argento della Resistenza

LUNEDÌ 24 APRILE 2023

BORGO VILLALTA AI SUOI CADUTI organizzato da ANPI Udine

Io vengo da Monfalcone, ma sono nato e cresciuto a Udine. Parlare di fronte a questa lapide per me è un piacere e un onore, ma soprattutto una grande emozione.

Giovanni Battista Periz, nome di battaglia “Orio”, è stato un antifascista della prima ora, un comunista dal 1925 e seguì tutta la trafila che l’antifascismo della prima ora comportò. Quindi il controllo, il confino, in seguito l’amnistia per poi salire tra i primi in montagna. Combatté con la brigata Picelli Tagliamento, ma organizzò soprattutto i GAP in città. In seguito a una delazione venne arrestato, trasferito e deportato a Mauthausen, dove morì. Il racconto di sua moglie del primo pestaggio che subì in galera a Udine ricorda in maniera preoccupante le immagini che abbiamo visto uscire oggi dal Centro per il rimpatrio di Gradisca d’Isonzo

Per me, nato e cresciuto a Udine nella periferia est della città, Giobatta Periz è soprattutto il nome di una via. Io ho avuto la fortuna di crescere in quel quartiere dove si possono leggere i nomi, oltre che di Giobatta Periz, anche di altri partigiani come Silvio Marcuzzi “Montes” oppure Mario Modotti “Tribuno”. Nomi di cui solo molti anni dopo avrei capito l’esempio e l’importanza che poi hanno avuto ed hanno nel mio stesso immaginario. Per me via Giobatta Periz però era soprattutto la via dove abitavano due miei amici. Erano entrambi di etnia sinti e  furono tra i primi che mi insegnarono quel gergo che si parla in via Riccardo e che forse molti di voi conoscono. Solo anni dopo io capii che moltissime parole di quel gergo provengono dalla lingua romanì, la lingua di rom e sinti. Tante volte noi, come società maggioritaria, non ci rendiamo conto dell’influenza e della forza che hanno le minoranze sulla nostra cultura e sul nostro immaginario. 

Vorrei quindi spendere due parole anche sull’importanza nella resistenza di rom e sinti. Inizio ricordando ad esempio la figura di Amilcare Debar, un sinto torinese che combatté insieme a Pertini nella liberazione di Torino e il cui status di combattente partigiano gli venne riconosciuto solo quando il suo compagno di lotta divenne Presidente della Repubblica. 

Un’altra storia molto importante di rom e sinti combattenti si ebbe a Vicenza nel novembre del 1944. Qui per ritorsione vennero ammazzati 10 partigiani di cui quattro erano sinti. Uno di loro, Renato Mastini è il marito di Vincenzina Esmeralda Pevarello staffetta partigiana, che imparentata con sinti friulani è tuttora in vita e ha dato la sua testimonianza di recente a Gad Lerner.

Il gruppo forse più noto della resistenza rom e sinti è stato quello dei Leoni di Breda Solini. In pratica un’intera brigata che era composta da sinti fuggiti da un campo di internamento in cui erano stati ristretti in quanto appunto sinti. I membri di questo gruppo di giorno facevano il mestiere di giostrai e circensi, di notte invece facevano i partigiani. Si meritarono il titolo di leoni per la loro particolare audacia ed erano molto amati dalla popolazione per il fatto che rifiutavano la violenza gratuita. 

Per venire invece qui a noi c’è la figura di Giuseppe Levacovich “Tsigari”, un partigiano della brigata Osoppo. Combatté nel gemonese mentre sua moglie era stata deportata ad Auschwitz. Lui era riuscito a salvarsi e si aggregò alle Brigate partigiane.

Queste sono solo alcune delle tante storie che avrei potuto raccontarvi della resistenza di rom e sinti e sull’importanza che ha avuto all’interno della guerra di liberazione. 

Spesso, come società maggioritaria, rifiutiamo con dei pregiudizi questa minoranza, forse anche per la loro indisponibilità a essere rinchiusi nel ruolo di vittime. Questo forse ci dà fastidio. Rom e sinti rifiutano sempre il ruolo di vittime: lo rifiutarono perfino ad Auschwitz. Dal 16 maggio del 1944 fino al 2 agosto ci fu tutta una serie di continue rivolte compiute all’interno dello Zigeunerlager dove i cosiddetti zingari venivano rinchiusi, che venne conclusa con il loro totale sterminio: l’eliminazione di tutte le persone internate in quella zona del campo di Auschwitz. La grossa ingiustizia che hanno subito i rom e sinti però non riguarda solo quello che loro chiamano Samudaripen, o Porrrajmos che vuol dire “olocausto” o “uccisione di ognuno”. Infatti, nonostante abbiano subito l’olocausto di 500.000 persone in tutta Europa, sono stati esclusi anche dei risarcimenti in seguito ai processi di Norimberga.

L’antiziganismo è la pietra angolare del razzismo. Noi, in maniera forse superficiale, se non apertamente razzista definiamo queste persone come “zingari” o “nomadi”. E pensiamo che la loro chiusura nei campi sia l’unica cosa giusta da fare per loro. In realtà quando utilizziamo la parola “zingari”, li chiamiamo “nomadi”, li chiudiamo nei campi, stiamo utilizzando gli stessi pregiudizi, gli stessi strumenti concettuali e lessicali che venivano usati dai nazisti. “Zingaro” è un termine spregiativo, come dire “negro” o “frocio”, ed è inaccettabile questo. Dare a un sinto del nomade vuol dire replicare il concetto nazista per cui i rom e sinti avrebbero questo Wandertrieb, il gene del giorovago. Ma i rom e siti non sono nomadi in gran parte. Lo stesso fatto che vengano chiusi in dei campi è una particolarità del tutto italiana ed è retaggio di quella stagione che noi vogliamo appunto denunciare e non ricordare che è quella del nazifascismo. Nella nostra regione, ad esempio, venivano chiusi insieme agli sloveni e croati all’interno dei campi di Gonars e Visco. 

Ma perché vi racconto questa storia che forse c’entra poco con Giobatta Periz? Perché io penso che Udine oggi sia il posto giusto da cui partire e cercare di dare una spallata al razzismo, a partire dall’antiziganismo. Ci siamo lasciati, speriamo alle spalle, una stagione di razzismo omobitransfobia e pratiche discriminatorie. Noi come friulani facciamo parte di una minoranza, una minoranza che ha anche una sua proprietà linguistica, che è tutelata da una legge del 1999. Ma i cosiddetti “zingari”, nonostante siano la più grande minoranza europea, non hanno avuto diritto di accedere ai diritti e benefici che quella legge a noi dà. Quindi io penso che questo sia il momento e lo spazio giusto per parlare della memoria, della storia di rom e sinti, perché la storia di rom e sinti è una storia europea, italiana e anche friulana.

La cosa riguarda anche le pietre d’inciampo. Qua accanto a me c’è la pietra d’inciampo che ricorda la deportazione di Giobatta Periz. La prima pietra d’inciampo è stata posta nel 1990 a Colonia proprio per ricordare la deportazione nei lager di 1000 rom e sinti. Nello scorso gennaio, finalmente a Trieste è stata posta nella nostra regione la prima pietra di inciampo che ricorda la deportazione di Romano Held, di padre sinto e madre rom, che è stato deportato. La cosa curiosa è che Romano Held era nato a San Pier d’Isonzo ed è stato arrestato a Fagagna. A Trieste, semplicemente andava a suonare, quindi il fatto che ci sia una pietra che lo ricorda in quella città è dovuto a possibilità e circostanze di tipo politico. 

La storia dei rom e dei sinti che sono finiti nei lager e sono passati attraverso Udine è una storia che comprende decine e decine di persone. Questa storia è stata raccontata da un professore dell’Università di Firenze che si chiama Luca Bravi. Voglio però soprattutto ricordare una nostra concittadina, perché è nata a Udine, che si chiama Eva Rizzin. Eva Rizzin è una ricercatrice dell’Università di Verona. È una sinta eftavagaria: noi da fuori li vediamo come tutti uguali, in realtà il mondo rom e sinto è come un grandissimo albero con tanti rami e forse dopo 600 anni che sono sulla nostra terra, sarebbe anche il caso di iniziare a distinguerli e parlarci. Eva ha raccontato in un suo libro – che è liberamente scaricabile da Internet e si chiama Attraversare Auschwitz – la storia anche della sua famiglia. La sua famiglia di sinti di origine tedesca che poi venne deportata in Germania.

Io penso che per dare una spallata al razzismo, sia necessario partire dall’antiziganismo. È giunto ill momento di creare un percorso partecipato coinvolgendo le comunità di rom e sinti per cercare un tempo un luogo, per trovare uno spazio per delle pietre che ricordino i rom che sono morti nei campi di concentramento. Io ho anche due nomi da fare di persone che sono sinti, sono state deportati dal nostro Friuli e sono poi morti: uno a Mauthausen come Giobatta Periz, l’altro a Buchenwald. Si tratta di Bruno Tapparello e Durlindano Pavan. 

Io penso che ce lo dobbiamo. Forse molti di voi conoscono quella poesia che dice: “All’inizio vennero a prendere gli zingari perché rubacchiavano”… Beh, quella lista fatta nella poesia a me sembra che stia quasi per finire. Quindi in quella lista potremmo finirci quasi tutti. Mi rivolgo a noi tutti per pensare di dare una scossa a partire e per consapevolezza innanzitutto di questo atteggiamento che abbiamo verso le minoranze che convivono con noi da centinaia di anni. 

Domani è la festa della della Liberazione, ma io penso che la Liberazione non sia solo una festa o una giornata, ma innanzitutto un processo, un processo che deve essere collettivo. E quindi dipende semplicemente da noi il fatto che questa liberazione ci sia e continui. 

Viva la Resistenza, viva la Liberazione!

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