Ronchi, D’Annunzio e i legionari nelle riflessioni di Pier Paolo Pasolini

Si è ri-cominciato a discutere sul suffisso “dei legionari” rispetto a Ronchi. Dal  momento che in rete non si trovava, ho ricopiato questo interessante articolo di Pasolini sul monumento a D’Annunzio che tangenzialmente riguarda la questione. Il fatto è che il problema è ben più complessivo e riguarda la toponomastica imposta in questa regione dagli italiani (il che significa per buona parte del Friuli, Bisiacaria e Carso dai fascisti). Esistono, come nel caso di Ronchi, imposizioni di tipo ideologico. Più diffuse quelle di tipo nazionalistico: basti pensare a tutti i toponimi slavi (ma anche friulani?) stravolti. Ad esempio il caso del monte Krn che in italiano diventa monte Nero (per la somiglianza di Crn – nero in sloveno – e Krn) nonostante si tratti di un “becco affilato” che scintilla candido di neve per tutto l’inverno come ricorda Boris Pahor. Oppure il caso che unisce entrambe le imposizioni con Sdraussina (Zdravščine) che diventa Poggio Terza Armata: deslavizzazione, italianizzazione ed esaltazione dell’esercito al tempo stesso.

Pasolini però, che nella parte critica mi pare convincente, nella parte propositiva, un monumento (?) a Ascoli, mi pare ingenuo e fuori luogo. Graziadio Isaia Ascoli non solo non fu rivoluzionario, ma neanche fu una vittima del fascismo (essendo morto nel 1907). A lui inoltre è dedicata quella Società Filologica Friulana che, nata nel 1919, è cresciuta durante il fascismo senza rischi. Ascoli, inoltre, è stato l’inventore di quel nefasto neologismo concettuale di “Venezia Giulia” che è da rigettare per diversi ordini di motivi che altri prima di me hanno analizzato e che sono gli stessi, più altri, per cui rigettare il monumento ai legionari (oltre che il suffisso a Ronchi).

È possibile a posteriori un revisione critica di un’opera imperialistica anche su un piano semplicemente toponomastico? Ronchi dei Partigiani mi piace ma la questione è più complessiva e non la risolveranno i ‘taliani/talians/italiani in quanto amministratori (e gli amministratori anche se furlani bisiachi e sloveni pur sempre italiani restano). D’altra parte neppure i sottani, furlani, bisiachi o sloveni che siano, si interesseranno alla cosa.

La nominazione-denominazione è annichilente atto d’imperio. Cose da padri e padroni: non è di là che passa l’emancipazione… Scardinare il linguaggio istituzionale, viralizzare i dialetti, imbastardirsi, ripartire dal basso. Nessuno in dialetto dice “Ronchi dei Legionari” o “Venezia Giulia”: è così che Legionari e gens italiche sono già morti…

La mia proposta, che ha un valore analitico prima che politico anche in contrasto con le iniziative patriottardo filobelliche per il centenario della Prima guerra mondiale, è un incontro-convegno-simposio sull’impatto che hanno avuto lo Stato italiano e il regime fascista sulla toponomastica locale.

Leggetevi Pasolini ora…

Pier Paolo Pasolini
Un monumento a D’Annunzio

“Vie Nuove” Anno XV, n. 46, 19 novembre 1960 (in Le belle bandiere, Einaudi, Torino, 1977.)

Il 30 ottobre, a Ronchi, la Legione del Vittoriale ha inaugurato un monumento a D’Annunzio nonostante una delibera municipale avesse respinto la richiesta di concessione di terreno. Infatti, il Prefetto di Gorizia, Dott. Giacinto Nitri, aveva annullato la decisione comunale per vizio di forma.

In relazione alla iniziativa, un gruppo di insegnanti e artisti isontini ha chiesto l’appoggio e la solidarietà di un autorevole gruppo di colleghi triestini per esprimere sul fatto una pubblica deplorazione, che costituisse anche dovuta precisazione storica, soprattutto per giovani e studenti. Siamo ora a chiedervi ospitalità, ben consapevoli della coerenza della vostra battaglia per un rinnovamento politico, intellettuale e di costume. Pensiamo che solo col vostro aiuto potremo far conoscere e divulgare più ampiamente la deplorazione circa la intempestiva ed imprudente celebrazione, che merita perciò di essere conosciuta in tutta Italia proprio per essere maggiormente deplorata. Se lo riterrete opportuno, potrete aggiungere l’avvertimento che adesioni sono ancora aperte a testimonianza di una protesta morale

Dott. Nereo Battello

Ed ecco la dichiarazione degli intellettuali:

«I sottoscritti, di fronte all’iniziativa, favorita da ben individuate forze politiche, di erigere nei pressi di Ronchi un monumento a Gabriele D’Annunzio con intendimenti di valutazione politica chiaramente emergenti dall’epigrafe che si intenderebbe apporvi, segnalano l’inopportunità storica e contingente dell’iniziativa stessa. Essi non intendono qui esprimere un giudizio sull’opera artistica del poeta e su quella del combattente della guerra di redenzione; ma affermano che il fatto che si intende esaltare nel monumento portò conseguenze funeste, sia sul piano della vita interna del popolo italiano, che su quello dei rapporti con altri popoli.

Infatti indipendentemente dai propositi di sincero patriottismo di taluno dei partecipanti, oggi risulta chiaro – anche secondo il giudizio della più recente storiografia – che l’impresa dannunziana rappresentò il primo passo sulla via della sovversione violenta del costume morale e civile di libertà trasmessoci dalle generazioni del Risorgimento, nonché la premessa ideologica e tattica del fascismo, e comunque un sitnomo evidente di quel disordine spirituale che interruppe il naturale sviluppo della democrazia italiana. D’altra parte la stessa impresa, esasperando odii locali e conflitti nazionalistici, ostacolò l’avvio ad un’equa soluzione dei problemi politici dell’Alto Adriatico.

Celebrare oggi questo episodio significa screditare l’ordinamento democratico del paese e compiere opera di diseducazione politica e civile, particolarmente nei riguardi dei più giovani, ai quali si addita come esemplare un gesto irrazionale di sovversione e violenza.

Prof. Elio APih (Trieste) docente universitario, storico; prof. Giuseppe Citanna (Trieste) ordinario di letteratura italiana all’Università di Trieste; prof. Biagio Marin (Trieste) poeta; Marcello D’Olivo (Udine) architetto; prof. Livio Pesante (Trieste) insegnante; dott. Bruno Pincherle (Trieste); Tino Ranieri (Trieste) critico cinematografico; prof. Carlo Schiffer (Trieste) storico; Gino Valla (Udine) architetto; Giuseppe Zigaina (Udine) pittore; Anzil Toffolo (Udine) pittore; prof. Silvio Bertocci (Udine) pubblicista; prof. Domenico Cerroni Cadoresi (Udine) poeta; dott. Giovanni Cimetta (Udine) presidente del Centro di Ricerche Culturali P. Calamandrei; prof. Rino Domenicali (Udine) insegnante; prof. A. Gobessi (Udine) insegnante; prof. Rocco Lamonarca (Udine) insegnante; prof. Ernesto Mitri (Udine) pittore; avv. Loris Fortuna (Udine) direttore di Politica e Cultura; prof. Nicolò Persici (Udine) insegnante; prof. Maria Gigliola Pezzé (Udine) insegnante; Giulio Piccini (Udine) scultore; Max Piccini (Udine) pittore;Sergio Altieri (Gorizia) pittore; prof. Radames Baldassarri (Gorizia) preside di scuola media; dott. Nereo Battello (Gorizia) presidente del Circolo Rinascita; Romolo Bertini (Trieste) pittore; Alfio Cantelli (Gorizia) critico cinematografico; prof. Maria Cavazzuti (Gorizia) insegnante; Sabino Coloni (Trieste) pittore; ing. Ferdinando Gandusio (Trieste); Cesare Mocchiuti (Gorizia) pittore; prof. Emilio Mulitsch (Gorizia) insegnante.

Sono vissuto a lungo in Friuli, mia mamma è friulana, mi sono interessato di storia e di letteratura friulana per tutta la mia prima giovinezza, molti dei firmatari di questo manifesto sono miei amici: alcuni, come Giuseppe Zigaina e Biagio Marin amicissimi. Ho abbastanza competenza, dunque, per sapere come stanno e come si svolgono le cose in quei posti: il «tono» delle cose. Il nazionalismo, lassù – con il potenziale fascismo – nasce purtroppo, oltre che dal solito qualunquismo, dalla solita sotto-esistenza culturale, anche da una forma di moralismo, tipico del Nord: tipico di quel cattolicesimo già venato di protestantesimo. E perciò tanto più pericoloso, perché strettamente amalgamato con delle profonde convinzioni morali sbagliate. Insomma mentre si può dire quasi con l’assoluta certezza che un fascista centro-meridionale è un disonesto, un profittatore, o, nel migliore dei casi, uno che si arrangia servendo, questo giudizio non vale sempre per un fascista settentrionale, e, nella specie, friulano. Spesso, nella condotta, nel lavoro, nella vita privata, i nazionalisti o fascisti di lassù sono delle persone oneste e inappuntabili. Andate a far capire a loro che un monumento a D’Annunzio Legionario è una cosa mostruosa!

Non lo ammetteranno mai, perché, per questo, dovrebbero rinunciare all’intera loro concezione dell’esistenza.

Bisogna anzitutto spiegare loro che D’Annunzio è stato un pessimo poeta, oltre che un pessimo cittadino. Io, per esempio, nono sono del tutto d’accordo con gli intellettuali friulani e triestini che hanno scisso il D’Annunzio poeta e combattente dal D’Annunzio legionario e prefascista. Il D’Annunzio è uno. La sua importanza letteraria è soltanto negativa, e così la sua importanza nel costume e nella storia. Egli rappresenta e esprime l’Italia nel suo momento involutivo: nel momento cioè in cui il Risorgimento ha mostrato i suoi limiti, la sua vera essenza di rivolta aristocratica, il suo liberalismo apocrifo (cfr. Gramsci), e la nuova classe borghese è cominciata a diventare quello che è: una mostruosa riserva di egoismo, di conformismo, di paura, di mistificazione, di ristrettezza mentale, di provincialismo.

Si badi che io non sono contrario a D’Annunzio per le stesse ragioni per cui gli sono stati contrari gli intellettuali italiani del primo Novecento, o del Novecento tout court: i quali lo avversavano nelle sovrastrutture letterarie per così dire. In realtà erano dei dannunziani essi stessi: dei D’Annunzio in pantofole anziché in coturni, che è già qualcosa, non dico di no: ma è quasi niente. Erano insomma antidannunziani come erano antifascisti: per ragioni di buon gusto, perché sia Mussolini che D’Annunzio erano dei «cafoni». Ma è noto come un simile antifascismo non servisse quasi a nulla: e molti antifascisti di questo tipo sono stati accademici d’Italia.

D’Annunzio è il tipico rappresentante dell’eterno classicismo servile e evasivo italiano, che assumeva in lui forme di decadentismo provinciale; e, a causa del suo immanente e superficiale irrazionalismo – tipico anch’esso – sfociava spesso nell’azione: la quale azione non poteva essere che retorica e sostanzialmente conformista, malgrado gli aspetti di clamoroso anti-conformismo. L’impresa di Fiume è stata una pagliacciata narcisistica. I poveri, onesti nazionalisti friulani ne sono delle ingenue vittime.

Poiché cosa fatta capo ha, diciamolo con tutta l’amarezza del caso, e il monumento a D’Annunzio Legionario è là, incrollabile (orrendo, naturalmente), io suggerirei di erigergli non lontano, un piccolo, modesto monumento a I. G. Ascoli. Sono vissuto per anni in Friuli, e anche nell’ambiente professionale e filologico: ma mai che mi sia capitato di sentire dell’entusiasmo sincero per questo ebreo di Gorizia che è certamente la figura d’intellettuale più importante, e la sola europea, che abbia espresso il Friuli nel nostro secolo. È un uomo che ha svolto un lavoro sì monumentale, e modesto, e magari discutibile in molti punti: e non certo rivoluzionario. Ma il silenzio in cui è stato tenuto durante il fascismo – naturalmente perché ebreo – e il complice silenzio che si continua a tenere su di lui, adesso, gli merita certamente un riconoscimento che lo contrapponga, lui, vittima del fascismo, al legionario fascista.

Una risposta a “Ronchi, D’Annunzio e i legionari nelle riflessioni di Pier Paolo Pasolini”

  1. Ho qualche dubbio, anche se ne capisco il valore politico, sul dibattito su Ronchi dei L.: credo che quelle valutazioni del 1960 fossero ampiamente comprensibili, soprattutto in quell’anno, tra tentativi autoritari del DC Tambroni, un congresso fascista impedito a furor di popolo a Genova, i morti di Reggio Emilia ed in Sicilia nella repressione governativa. Ma oggi mi pare che la valutazione sull’impresa fiumana e sul ruolo di D’Annunzio in quegli anni vada un po’ ripensata. Più che come “precursione” del fascismo (anche se lo è stata certamente, sul piano del mito e della “formazione dei quadri” del movimento e del futuro regime), penso vada vista come una fase transitoria di evoluzione, in cui una parte della sinistra interventista non era ancora definitivamente transitata a destra, e la sinistra “vera” non sapeva ancora cosa fare. Il fascismo sansepolcrista del 1919 aveva nelle sue file un sacco di interventisti di sinistra, e tra essi molti dei suoi primi oppositori in armi: come Pietro Nenni e Guido Bergamo. Vedi la presenza a Fiume di anarchici, socialisti rivoluzioni come Alceste De Ambris, redattore della “Carta del Carnaro”, futuri militanti comunisti ed altri “legionari” rimasti rigorosamente antifascisti e di sinistra. Vedi il sostegno (pure “pirata”) della Federazione Lavoratori del Mare del comandante Giulietti, ma anche le tante oscillazioni e trattative tra sindacalismo confederale, D’Annunzio e le ultime velleità “laburiste” di Mussolini, anche nei primi tempi del suo governo. Per non parlare del tentativo dannunziano di entrare in rapporto con il Psi per una “marcia su Roma da sinistra”, tramite Giuseppe Tuntar, e dei rapporti tra Fiume e la Russia sovietica. Quanto alla proposta pasoliniana su I.G.Ascoli, sono d’accordo con te (eppoi, dove metteremmo Michaelstädter, tanto per rimanere all’intellettualità “europea”?).

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