Assistiamo in questi giorni ad una operazione promossa dal comune di Ronchi di sdoganamento della figura di Gabriele D’Annunzio. Questa operazione maldestra e inopportuna fa nascere diversi interrogativi e preoccupazioni.
Perché cercare di legare più di quanto non sia il nome di Ronchi a D’Annunzio (oltre che ai suoi legionari)? Quante ore ha passato D’Annunzio a Ronchi? Forse 12. Quanti ronchesi hanno partecipato alla marcia… di Ronchi? Nessuno. Il legame della località isontina con lui va ricercato solo nell’appellativo “dei legionari” affibbiato al comune durante il ventennio fascista. Tra i libri esposti nella mostra allestita dal comune possiamo leggere anche i versi razzisti magari contro “la barbarie schiava” (presente in comune con una nutrita minoranza che gestisce anche una scuola)? Andrò a verificarlo.
Non entro nel merito del valore del Vate da un punto di vista letterario (che personalmente – con Pasolini – trovo estremamente dubbio), circa i meriti militari (presunti: basti considerare l’episodio dalla morte del maggiore Randaccio), o la consistenza politica della controversa Reggenza del Carnaro (di cui si sente la mancanza di una ricerca storiografica sulla posizione verso quell’esperienza da parte del movimento operaio locale basata innanzitutto sulla lettura dei giornali socialisti dell’epoca, in primis “Il Lavoratore” di Trieste. Ma anche – cosa che a me preme particolarmente – uno studio sulla posizione degli anarchici non solo locali – noti sono i contatti partiti da Fiume con Errico Malatesta e la partecipazione del sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris redattore della “Carta del Carnaro” – perlomeno con la lettura dell’allora quotidiano “Umanità Nova”).
Al di là di tutto questo qual era la posizione politica di D’Annunzio? Questione complessa ed articolata per cui rimando a letture più documentate. Io mi permetto di suggerire un’analisi a partire, non dalla letteratura dannunziana o dalla sua esperienza politica diretta come ci si potrebbe aspettare, ma da quanto ci ha lasciato di più concreto e che è la rappresentazione del pensiero dello scrittore pescarese: il “Vittoriale degli italiani” di Gardone.
In particolare un monumento è il cardine di questa residenza-mausoleo: il Pilo Dalmata o della Reggenza.
Eretto nel 1924 è il primo palo eretto nel Vittoriale e che si trova nella cosidetta piazzetta dalmata al centro esatto del Vittoriale. Evidente l’intento dannunziano di dargli preminenza e centralità già a partire dalla sua ubicazione ed erezione.
Il pilo (o palo) è uno zoccolo a gradino con due pietre da macina dell’antico frantoio che si trovava nella proprietà, ornata da otto mascheroni, di area veneta del XVI sec. con iscrizione inneggiante alla Madonna. I mascheroni simboleggiano gli otto venti della rosa italiana culmina con la statua bronzea della Vergine dello scettro di Dalmazia che sostituì nel 1964 la precedente scultura lignea. In centro il pennone dove una volta sventolava il gonfalone del Principe di Montenevoso, “titolo nobiliare, creato motu proprio da Vittorio Emanuele III Re d’Italia, su proposta del primo ministro Benito Mussolini per il poeta e condottiero della prima guerra mondiale e dell’Impresa di Fiume Gabriele d’Annunzio”.
Questo monumento (?) ricorda la schiavitù della Dalmazia sotto l’impero austriaco e ne rivendica l’italianità. L’iscrizione sul pilo, infatti, recita:
«Laudata sia nell’eccelso / La
serenissima Vergine dello scettro di Dalmazia / Che
per li otto venti della rosa italiana / Come per questi
otto teschi / Risoggioghi la barbarie schiava / Dal
primo vallo di Roma nel monte Adrante / Insino agli
altari di Marco sanguinosi nel labirinto del Cattaro
/ E dal crudo sasso quivi imminente / Insino al
sommo degli Acroceraunii / Non impari nell’amore
del fato e del fulmine. / Nono anniversario della
guerra bandita. Settimo della Pentecoste sul Timavo.
XXIV Maggio MCMXV MCMXXIV / XXVII Maggio
MCMXVII MCMXXIV / et ultra».
Ne lascio a voi l’interpretazione da un punto di vista simbolico-poetico e le conseguenti letture politiche e mi domando:
che senso ha tutta questa operazione volta a riqualificare e far digerire una figura come quella di D’Annunzio ai ronchesi? Serve ad intercettare i quattrini che inizieranno a piovere in questa vigilia del centenario della Prima Guerra Mondiale? È l’ennesima pezza messa per far credere che esista una pacificazione “nazionale” accettabile? Si tratta veramente solo della pervicace iniziativa di una solerte bibliotecaria? Nessuno in un comune con una forte minoranza slovena si è preoccupato del razzismo elitario in generale e slavofilo in paritcolare del Vate? Comunque sia è un’operazione rischiosa, fatta con leggerezza e di cui non si sentiva la mancanza.
Per questo ribadisco a mia proposta, che ha un valore analitico prima che politico, di organizzare un incontro-convegno-simposio sull’impatto che hanno avuto lo Stato italiano e il regime fascista, con anche i loro miti ed eroi, sulla toponomastica locale. Ci sto già lavorando…