Sentieri per la libertà: nel cuore della Repubblica libera della Carnia

Era da prima del lockdown che non riuscivo a fare una passeggiata, se si escludono le normalissime evasioni dalla reclusione imposta. L’ultima uscita era stata la passeggiata sulle orme del TIGR da cui queste poche immagini ad inizio marzo.

In questa primavera senza 25 aprile e primo maggio, l’insopprimibile bisogno di resistenza e la voglia di calcare terre libere mi porta ad Ampezzo, capitale di quella che fu la Repubblica libera della Carnia. Seguo uno dei solo due percorsi partigiani della regione suggeriti dal libro, recentemente riedito dal CAI, “Sentieri per la libertà”, ma anche ripercorso da scolaresche. La pagina del turismo e delle gite d’istruzione sulle tracce dei partigiani e del movimento resistenziale – a differenza di quello legato alla guerra definita “grande” – resta in gran parte da scrivere.

Dopo aver parcheggiato appena fuori dell’abitato del borgo ampezzano di Voltois, incrocio un uomo anziano con il cappello della Ferrari che passeggia con una lentezza inesorabile. Ci riconosciamo e salutiamo come capita in montagna. Ho sempre pensato che questo non sia un gesto a dimostrazione della cortesia dei montanari o di chi calca anche solo per poche ore le terre alte. Non si diventa migliori solo perché l’aria è più pura e rarefatta. È sopravvivenza: ti vedo e ti riconosco nella speranza che tu, in ogni evenienza, ti ricordi di me.

Il libro del CAI annuncia – evidentemente in difetto – un dislivello totale di 550 metri. Da Voltois (660 m) a Forca di Pani (1139 m), infatti, già c’è un totale di 439 metri da spararsi tutto di un fiato nella prima ora di cammino. Tutta la strada è asfaltata, ma ai lati fiori e fragoline ingentiliscono il percorso.

Dopo l’ennesimo tornante si scorge la capitale della Repubblica partigiana della Carnia sul fondo valle.

La strada è costeggiata da uno stillicidio di anconette: madonnine e Gesù Cristi rinchiusi in casette di pietra. Religiosità popolare o risemantizzazione/interpretazione esclusiva di un territorio partigiano in senso cattolico? Una simbologia che si vuole universale viene imposta in una zona liberata da un movimento che fu di parte?

Il pittore Bullian di Ampezzo ha affrescato una cappelletta votiva poco più a valle dell’abitato di Voltois

Una cosa forse non esclude l’altra, ma l’animo resistente degli abitanti del luogo si può notare in modo evidente poco prima di arrivare alla Forca di Pani dove su una baita già da lontano non si fatica a vedere l’icona di Ernesto Guevara de la Serna e la bandiera della pace che recita solo “CE”.

 

Sento un urlo provenire dal bosco e poi un rumore sordo finché un tronco non mi rotola solo pochi metri davanti ai piedi. Sbuca quindi un vecchio boscaiolo con dei baffoni bianchi a metà tra un elfo e babbo natale.

  • “Dulà vatu di besoul?”
  • “O fasarai il gîr par Feltrone e po dopo ‘o torni indaur a Voltois”
  • “Dio boe…”
  • “Viva”
  • “Va là… Mandi”

I popoli friulani e carnico, gente di poche parole, sono nati come popoli di camminatori – pellegrini, cramars, partigiani – e per commiato augurano all’interlocutore di poter andare nelle mani di dio.

Dopo la forcella inizia l’attacco del sentiero 221 che si addentra nel bosco dove la natura subito si manifesta in tutta la sua magnifica imponenza. Un cerbiatto in fuga mi sfila accanto, più tardi sarà la volta di una cerva, ma anche tra i miei piedi diverse presenze inconsuete.

La vegetazione da cedue si mescola con quella sempreverde. L’origine del nome di Ampezzo, secondo la leggenda, è dovuto ad un abete, raffigurato anche nello stemma comunale con una casetta vicino, che sotto la sua ombra ha lo spazio per fare riposare i viandanti. I lunghi abeti bianchi, a distanza di un anno e mezzo, mostrano le ferite lasciate dalla tempesta “Vaia” ancora evidentissime.

Dopo una discesa si esce dal bosco e ci si trova in una zona collinare prativa disseminata di stavoli. Evito la deviazione suggerita per raggiungerli e seguo la strada principale. Non è difficile immaginare quella estate del 1944 tra queste verdi colline che sono diventate, anche iconograficamente, il simbolo dell’esperienza della zona libera. Mi fermo a mangiare qualcosa proprio sotto il bellissimo albero ritratto su copertine di libri e locandine.

Campo: vista verso la valle del Tagliamento
Controcampo: vista sulla val di Pani

Si prosegue quindi sulla strada che qui è di nuovo asfaltata. Ad una curva inizia un largo sentiero: è il 235, ma a segnarlo solo uno stinto segno su un pezzo di legno. Bisogna arrivare fino alla fine per essere sicuri che sia quello giusto. Il libro del CAI lo definisce in modo ottimista una mulattiera, ma ha più subito si riduce ed assume il carattere del sentiero. La pioggia che è caduta fino a poche ore prima rende insidiosissimo il fondo di foglie e fango. Arrivato a Feltrone, ormai Voltois è a portata di mano. Le indicazioni, però, si perdono nel bosco e io mi perdo con loro. Inutile il supporto della mappa, in mezzo agli alberi, senza punti di riferimento. Sentieri di boscaioli o i segni lasciate dalla pioggia mi traggono in inganno o forse la vicinanza alla meta mi ha portato ad essere distratto. Provo a seguire alcune vie, ma perdo continuamente le tracce: una volta in un torrente, una volta in una radura creata dalla tempesta Vaia. Con gli alberi sono spariti anche i segni che indicano la strada, ipotizzo. Trovo spesso dei segni bianchi e azzurri che mi rassicurano quindi li seguo nella speranza che perlomeno mi avvicinino alla meta. Dopo ancora una mezz’ora di discesa mi ritrovo nel piccolo borgo di Lungis, molto più a valle di dove avrei dovuto arrivare. Destino nel nome… ho allungato la via di diversi chilometri… Chiedo indicazioni ad un anziano che armeggia con una motosega, che da queste parti è un oggetto quotidiano e rassicurante che viene anche usato, in versione giocattolo, da alcuni bambini che incrocio. Dopo avermi confermato che ho sbagliato strada, mi consiglia di scendere ancora fino al sottostante borgo Siega e quindi risalire il torrente Lumiei.

Il torrente è chiuso da una diga più a nord che venne costruita dalla stessa Sade che più a sud, vicino al lago di Bordano, edificò un canale e che alcuni anni dopo, bloccando il torrente Vajont, causò indirettamente uno dei più grandi disastri dell’Italia repubblicana. La costruzione della diga sul Lumiei a Sauris venne contestata nella memoria di alcuni abitanti del luogo:

“Ricordo l’incredibile opera di disboscamento. Gli alberi furono tutti tagliati e la legna accatastata e portata altrove. Gli abitanti furono pagati e e gli fu offerto un lavoro. Certo non avevano scelta! Era una grande opera dal sapore fascista ed i partigiani cercarono di impedire la costruzione della diga. Si sparò qualche colpo ma nulla di più.”

Questo il cinegiornale Luce dell’inaugurazione dell’opera in perfetto stile fascista nonostante fosse il 1948:

Ma torniamo alla mia escursione.

“Dovrebbe essere senz’acqua” mi dicono del Lumiei. La speranza di raggiungere il punto iniziale nel più breve tempo possibile mi fa sottovalutare quel condizionale e scordare il fango su cui sono scivolato poco prima. Infatti, dopo essere entrato nella torrente in secca, fatti neanche cinquecento metri, mi ritrovo a dover camminare con i piedi ammollo…

Poco male, nonostante la deviazione arrivo al punto iniziale con solo mezz’ora di ritardo rispetto a quanto mi ero prefissato e incrocio di nuovo il vecchio con il cappellino della Ferrari che ancora passeggia, sempre lentamente ma inesorabilmente, nel punto in cui l’avevo incrociato al mattino. Guardandomi da sotto il frontino con una punta di insolenza mi chiede: “Cjaminat avonde par vué?”.

Direi di sì…


Escursione che non ho goduto a fondo. Troppi i tratti lungo la strada asfaltata. Lo sbaglio di percorso per il sentiero poco chiaro mi ha poi rovinato il gusto di aver calcato una delle prime terre libere e autogestite dopo la barbarie del ventennio fascista. Alcuni scorci panoramici e i boschi sono sicuramente suggestivi. Ragione per ritornare sarebbe il museo della Repubblica partigiana, la cui visita però è molto difficile, tanto più in periodo di emergenza sanitaria. Ora, in quella che fu la Repubblica libera di Carnia, a parte questa saletta allestita nel municipio che io non sono riuscito a vedere, non esiste un segno evidente a ricordo di quella esperienza ad eccezione del cartello all’ingresso del paese.

Mappa Tabacco  013 Prealpi carniche - Val Tagliamento

Dislivello previsto 550 metri. 
Fatti considerato la deviazione sicuramente oltre il migliaio.