Una cittadina di Turriaco: Aurelia Benco

Aurelia Benco

Tempo di Corona virus. Segregazione imposta ma anche occasione di letture disordinate e affannose. Oltre a smaltire la pila di libri sul comodino si aggiungono letture dalle molte fonti web messe a disposizione gratuitamente in questo periodo di emergenza sanitaria.

Da poco trasferito a Turriaco e a ridosso di un 25 aprile che per la prima volta non vedrà riempirsi la piazza del paese, mi sono imbattuto nella storia di una donna che in questa piccola località nel cuore della Bisiacaria lambita dal fiume Isonzo ha vissuto diversi anni e che ha senza dubbio a che fare anche con la giornata della Liberazione:

Aurelia Benco

Nata a Trieste nel 1905 si era trasferita per svolgere il suo lavoro di agronoma nella piccola località nel cuore della Bisiacaria tra il 1936 e il 1937 per venire in seguito raggiunta dalla sua famiglia. Il padre Silvio infatti si era qui rifugiato dopo essere stato durante il periodo “badogliano” (dal 27 luglio 1943 all’11 settembre 1943) direttore del giornale “Il Piccolo” di Trieste dove scriveva articoli di ispirazione liberale e di critica al totalitarismo. Era stato quindi minacciato di morte e rimosso da quella carica dai fascisti che quando si impadronirono del giornale e penetrarono nella redazione lo trovarono al suo tavolo di lavoro “a differenza di coloro che al suo posto erano sempre fuggiti” come ricorda la figlia.

Ritratto della scrittrice Delia de Zuccoli

Silvio Benco è figura molto nota ed  ha lasciato una traccia evidente a Turriaco: a lui è stata dedicata una via e un’associazione locale  – il Circolo culturale e ricreativo don Eugenio Brandlha promosso una ricerca sui suoi anni turriachesi in cui si parla diffusamente anche della figlia e, in maniera minore, della moglie. Il libro non è una biografia ma si tratta piuttosto di una raccolta corale di voci che ricostruiscono il quadro in modo vivido e ingenuo della vita a Turriaco alla fine del secondo conflitto mondiale. Devo ringraziare Elisa Baldo che me ha fornito una copia in questo periodo buio che stiamo vivendo. È da anche da questi piccoli atti di solidarietà reciproca che si apprezza la vita in un paese come Turriaco, capace di restare comunità nonostante l’emergenza sanitaria e i venti di intolleranza che spirano nel nostro territorio e in particolar modo a Monfalcone che ormai è una città invivibile e con il cuore mangiato dall’odio.

Dobbiamo sempre all’associazione Brandl l’apposizione, l’11 settembre 2009, sulla casa dove visse con la famiglia una targa a ricordare il “Giornalista, scrittore e critico d’arte, protagonista della vita culturale italiana e del patriottismo democratico della Venezia Giulia” che in questa casa visse dal 1944 al 1949 anno della morte sua e della moglie. Al di là dell’utilizzo sempre ambiguo della definizione di “Venezia Giulia”, non una parola viene spesa su chi, oltre al grande uomo di famiglia, lì passò quegli anni. Eppure vi vissero anche la scrittrice Delia de Zuccoli, sua moglie, e la figlia Aurelia. Il nome è, al femminile, lo stesso che suo zio, il fratello della madre Delia e amico di Guglielmo Oberdan (Wilhelm Oberdank) aveva dovuto scegliere lasciando l’originario Elia che, forse, evidenziava in modo troppo evidente l’origine israelitica della famiglia. Il fratello di Aurelia, Claudio, che però a non visse a Turriaco, era ingegnere e fu dal 1943 direttore del Cantiere navale di Monfalcone per poi fare una brillante carriera accademica all’Università degli Studi di Trieste e al CNR.

Donna volitiva – come molte triestine – Aurelia ebbe una vita avventurosa e interessante di cui il web porta alcune tracce:


Come emerge anche dal libro di Silvia Clama Silvio Benco nella casa dei Bosma, oltre che dai profili biografici che trovate qui di seguito, si nota quanto la vita di Aurelia Benco sia stata ricca di eventi rilevanti di cui fu protagonista.

Al lavoro di agronoma (molti i suoi testi scientifici parlano del territorio della Bisiacaria) affiancò timidamente l’attività di scrittrice: una sua raccolta di racconti venne pubblicata nel 1939 dalla casa editrice Ariel di Milano con il titolo “Atmosfere crepuscolari”. Sempre a Turriaco nel 1946 diede vita ad una cooperativa edile.

Nel 1944, mentre si trovava a Turriaco dove visse tra il 1936 e il 1949, dette vita alla sezione locale del Partito socialista e lo rappresentò all’interno del Comitato di Liberazione Nazionale. Filoitaliana al termine delle guerra in un contesto molto difficile con il territorio della Bisiacaria contesa tra Italia e Jugoslavia.

Tornata a Trieste dopo la morte dei genitori, fondò nel 1951 la rivista Umana. Sul verso copertina accanto al titolo nell’occhiello si poteva leggere:

Umanità è la famiglia spirituale degli studi in cui si afferma, come per elevazione in aere più sereno, il distacco dal bruto e la superiorità della razza pensante. Umanità è anche il tratto essenziale di parentela nella coscienza e nel dolore tra le mille anime nate dallo agitato e discorde seme di Adamo. In ogni caso è, fra tutte una parola che lega.

Sono le parole con cui il padre, aveva presentato, il 25 maggio 1918, una rivista dallo stesso titolo, che avrebbe avuto breve durata. La figlia fece quindi un tributo al padre da poco scomparso, riprendendone la testata e le parole di apertura. In copertina l’indicazione dell’editore rimandava ad Aurelia Benco, e la redazione era presso la sua abitazione prima a Opicina, poi a Duino.

Seguì l’impegno come consigliere comunale nelle file della Lista per Trieste di cui fu fondatrice (fu figura di riferimento delle battaglie contro il progetto di costruzione di un polo industriale sul Carso e per la nella richiesta di una zona franca integrale nel periodo successivo alla ratifica del Trattato di Osimo) e poi come deputata.

Notevole l’attenzione per la cultura (imponente il lascito della famiglia Gruber-Benco al Museo Revoltella e alla biblioteca A. Hortis di Trieste con oltre 4000 volumi e oltre un centinaio di opere d’arte dono della figlia Marta) e in generale l’impegno politico e culturale. Per il suo impegno venne nominata nel 1986 presidente del Centro UNESCO di Trieste.

Credo che, anche solo alla luce di queste brevi informazioni biografiche, si possa sostenere che anche la parte femminile della famiglia Benco meriterebbe maggiore considerazione e forse un ricordo visibile e concreto nel paese.


La casa editrice Zero in Condotta ha meritoriamente reso in questi periodo di clausura alcuni dei titoli del proprio catalogo rendendo disponibile anche il libro di Martina Guerrini, Donne Contro. Ribelli, sovversive, antifasciste nel Casellario Politico Centrale in cui la biografia di Aurelia è ricostruita a partire dalle carte conservate presso il Casellario Politico Centrale che testimoniano il forte impegno antifascista di azione diretta della figlia di Silvio Benco. Martina Guerrini, forse per prima, fa infatti luce sul raggruppamento delle Ardite rosse, guidate proprio da Aurelia Benco, segnalato dagli organi di polizia a Trieste come struttura “al femminile” collaterale a quella dei più noti Arditi rossi guidati da Vittorio Vidali e consistente in una ventina di aderenti socialcomuniste. Questa esperienza, per quanto limitata, assume comunque il valore dell’eccezione in un panorama declinato al maschile in modo quasi totale.

Il capitolo in cui Guerrini parla di Aurelia, che riporto integralmente, usa esclusivamente le fonti di polizia che si possono trovare al Casellario Politico Centrale motivo per cui resta escluso dalla ricostruzione tutto quanto sfuggì allo sguardo inquisitorio delle forze dell’ordine fasciste e tutto quello che accadde dopo che uscì dal mirino degli inquirenti e dopo la caduta del fascismo.


Questa la ricostruzione della biografia di Aurelia Benco fatta da Martina Guerrini:

Benco Aurelia (Frombolo)

Aurelia Benco di Silvio e di Delia de Zuccoli nasce a Trieste il 22 giugno 1905. Docente universitaria. Schedata come comunista.

È di statura media, capelli lisci castani; occhi grandi e verdi, mani curate. Ha un’andatura spedita, e l’espressione definita «civettuola». L’abbigliamento abituale è ritenuto «alquanto elegante».

Quantunque appartenente a stimata e conosciuta famiglia di Trieste, la Aurelia, nota col soprannome di “Frombolo” per la sua indole irrequieta e attivissima, si è dimostrata fin dai primi anni insofferente di ogni freno di correzione domestica ed animata da spinti sentimenti sovversivi.

Viene definita «intelligente, di buona cultura, amatissima [sic] delle letture avventurose e studiosa di letteratura politica». Nel dare conto della sua capacità di tenere conferenze presso i vecchi locali della Camera del Lavoro di Trieste, la si ritiene avere stretto contatti – fin dal 1918 – con militanti comunisti, cosa evidentemente impossibile: con molta probabilità si tratta di elementi socialisti, poi passati al PCdI.

Si dedica alla propaganda sovversiva, collaborando al giornale comunista «Il Lavoratore», e ai giornali «Avanguardia» e «Compagna».

Di indole socievole, usa accompagnarsi di preferenza a giovani sovversivi, sui quali conquistò facilmente notevole ascendente per la maggiore intelligenza e cultura.

Organizza le squadre delle Ardite Rosse, oltre a dedicarsi con grande impegno al riordinamento della sezione triestina della Federazione Giovanile Comunista che deve alla «sua infaticabile opera» i pochi sprazzi di attivismo avuti nel 1923-24 .

Ricopre incarichi di fiducia nel Partito, come la riorganizzazione del Fascio Giovanile Comunista “Redo Sornig” sotto lo pseudonimo di Paolo Rossi, è membro del Comitato esecutivo della locale Sezione giovanile assieme a Giovanni Blasevich, «comunista biografato», noto con il nome Marcussi. È animatrice del gruppo studentesco comunista.

Nonostante la vigilanza a cui fu sottoposta, si dimostrò ostinatissima nel perseverare a tenersi in corrispondenza con appartenenti ad altre Sezioni Giovanili ed a procurarsi con ogni mezzo stampe sovversive provenienti dall’estero.

Verso le autorità è ritenuta tenere «contegno provocatore».

I primi giorni del novembre 1924 Aurelia parte alla volta di Perugia per frequentare la Scuola superiore di Agraria, dove la Questura dispone per la sua vigilanza. Neppure durante il periodo di vacanza, svolto con la famiglia a Dol, in provincia di Udine, viene abbandonata dalle attenzioni della polizia. La nota informativa del 2 settembre 1925 riporta una comunicazione del Questore udinese che definisce «buona» la condotta vacanziera della ragazza in compagnia della famiglia e ne ribadisce la disposizione di vigilanza.

Il 20 dicembre 1925 è la Questura di Bologna ad osservarne il comportamento durante la permanenza scolastica presso la Scuola superiore di Agraria. Non sembrano emergere elementi di particolare preoccupazione, fino al 6 maggio di due anni dopo quando viene diffidata.

In una nota del 3 luglio 1927 si avverte infatti che la Benco è sospettata «da notizie fiduciarie attendibili» di aver tentato di costituire a Bologna una scuola femminile comunista, con scarso successo a causa dell’«attenta e rigorosa sorveglianza alla quale era sottoposta». Si dispone quindi per il foglio di via obbligatorio e rimpatrio a Trieste «con diffida a non fare più ritorno in quel comune senza la preventiva autorizzazione di quell’ufficio».

Il 25 gennaio 1928 viene emessa una autorizzazione «a rimanere a Bologna limitatamente all’anno accademico 1927-1928 con diffida di serbare buona condotta politica sotto ogni riguardo e con obbligo di presentarsi a questo ufficio di P.S. ogniqualvolta si allontana da questa città o vi faccia ritorno».

Il 4 marzo 1928 si sposa con Carlo Gruber a Trieste .

Il 24 novembre 1928 parte definitivamente per Trieste, dopo aver sostenuto gli ultimi esami universitari.

In una nota del 4 aprile 1929 la questura di Trieste informa che Aurelia Benco è «prossima al parto» e per questo motivo «non dà luogo a rilievi né svolge attività politica, raramente esce di casa».

Nel novembre dello stesso anno «non ha dato luogo a rimarchi. Ha una bambina lattante e mena vita ritirata».

Il 7 maggio 1930 ottiene il passaporto con validità annuale per l’estero, a seguito del nulla-osta ministeriale: il 6 marzo 1930 parte infatti per Bruxelles. Tornerà in Italia nel luglio del 1930, e a Trieste prenderà domicilio in via Romagna n. 37. Dal 1 luglio 1932 è assistente presso la Cattedra ambulante di agricoltura: il 18 dicembre dello stesso anno si trasferisce a Mestre a seguito dell’incarico che la vede impiegata presso l’ateneo veneziano.

Il 25 agosto 1933 ottiene il rinnovo del passaporto per l’estero.

Nonostante la vigilanza disposta nei suoi confronti non dia luogo a rilievi, fin dal novembre 1933 si susseguono note e richieste di chiarimenti e informazioni, da parte del Ministero dell’Agricoltura, in merito ad una presunta partecipazione della Benco a gruppi antifascisti.

È infatti giunta una nota del Vice Segretario del PNF che suggerisce la necessità di tenere la Gruber discosta dal Partito, non potendosi avere fiducia nell’attività che può svolgere.

È bene ricordare, comunque, che la Benco nel 1937 era ancora vigilata, nonostante l’incarico di prestigio. Il Ministero dell’Agricoltura si dimostra da subito «assai perplesso» di fronte a tali accuse, ed oltre a sollecitare al Ministero dell’Interno «più precise informazioni, e conoscere il suo avviso per procedere se del caso, all’immediato allontanamento dalle Cattedre ambulanti di agricoltura della Dottoressa in parola», allega la suddetta nota del partito fascista, oltre ad un’accorata e confidenziale lettera inviata dal Direttore de «Il Piccolo» di Trieste il 3 novembre 1933.

La Dottoressa Aurelia Benco in Gruber, figlia del nostro amato collega Silvio Benco, illustrazione delle patrie lettere e simbolo luminoso del passato irredentista di Trieste, è vittima di una denuncia cattiva, che, mossa dall’invidia, tende a distruggere la buona fama di una donna di non comune ingegno e di sicuro avvenire.

La denuncia – prosegue Rino Alessi – riguarderebbe il ruolo della Benco in attività antifasciste internazionali, insinuando il dubbio che lei stessa sia il tramite informativo tra l’Italia e «centri comunisti residenti in Svizzera».

La lettera si sofferma quindi sull’infanzia tragica passata dalla donna a fianco del padre esule, perseguitato in ogni modo da parte della polizia austriaca: un sottile escamotage narrativo che permette a chi scrive di giustificare l’errore giovanile di Aurelia Benco nell’abbracciare la militanza comunista:

Cresciuta in quel clima avvelenato, costretta a provvedere da sola ai propri studi, sbalestrata da un punto all’altro dell’ex monarchia danubiana, precipitata infine a Trieste nei giorni del collasso austro ungarico, la giovinetta, divenuta già fanciulla, si orientò verso le utopie comuniste. Ciò è senza dubbio un errore; ma non può essere una colpa che una persona debba scontare per tutta la vita anche dopo aver dato al proprio spirito un indirizzo nettamente fascista.

È dunque questo il motivo di tanta preoccupazione: Aurelia Benco, secondo quanto riportato dal Direttore de «Il Piccolo», avrebbe voltato pagina e sarebbe diventata fascista.

Superata la crisi della prima giovinezza la Dott. Benco ha avuto la fortuna di incontrare un uomo serio ed onesto con il quale si è unita in matrimonio. Una conoscenza più precisa della vita italiana e dei principi del Fascismo, ha risanato il suo spirito.

Evidentemente il Direttore del quotidiano triestino è un profondo conoscitore della morale fascista, oltre ad essere assai abile nel saperla sfruttare ai propri fini. Offrendo infatti da una parte la storia di una giovane cresciuta senza serenità familiare, dall’altra l’epilogo della tranquillità ritrovata con il matrimonio e, quindi, della collocazione sociale che il regime le ha assegnato accanto a un uomo probo, implicitamente celebra la grandezza del pensiero e dell’etica fascista, accanto a quella patriarcale, capaci di una siffatta conversione politico-morale. Chi potrebbe mettere in dubbio che la donna, grazie al matrimonio e, di conseguenza, alla «conoscenza più precisa della vita italiana e dei principi del Fascismo», sia veramente diventata una madre di sani principi morali?

Già un anno prima – siamo nel 1932 – la Prefettura di Trieste inviava una nota al Ministero degli Interni riguardante un articolo, apparso su «Il Piccolo», che offre altri elementi di chiarimento circa la presunta conversione fascista della donna:

Il locale quotidiano «Il Piccolo» nel numero del 25 giugno u.s. pubblica che la dottoressa Gruber-Benco Aurelia è stata designata dal Comitato organizzatore del IV° congresso internazionale dell’insegnamento agricolo che si terrà a Roma nel novembre p.v. sotto l’alto patronato di S.M. il Re, a tenere la relazione sul tema “Insegnamento dell’economia domestica rurale”.

Si sottolinea che la notizia ha suscitato «commenti in alcuni circoli cittadini», dato che, pur conoscendo le doti e il ruolo svolto dalla Benco in ambito accademico, «è noto che essa svolse in passato attività comunista organizzando le squadre delle ardite rosse». La nota prefettizia si conclude, tuttavia, ammettendo che, sebbene schedata come comunista, la donna «da tempo non dà luogo a rilievi con la sua condotta politica».


Uno dei ritratti ad Aurelia Benco opera di Gino Parin contenuti nel Fondo Gruber-Benco al Museo Revoltella

Per concludere una breve biografia curata da Gabriella Norio che si trova a corredo dell‘inventario del Fondo Gruber-Benco del Comune di Trieste. Nell’inventario linkato si trovano informazioni biografiche anche sugli altri componenti della famiglia e l’elenco completo del lascito donato da Marta Gruber (figlia di Aurelia Benco).

Aurelia Benco Gruber, detta Frombolo (lanciatore di pietre) dalla madre, che la chiamava anche Lula, nacque a Trieste il 22 giugno 1905.
Compì gli studi classici al “Liceo Dante Alighieri” di Trieste e, nel 1929, conseguì la laurea in Agraria all’Università di Bologna, specializzandosi poi in bonifica presso l’Università di Pisa. Per molti anni fece parte del personale tecnico delle Cattedre Ambulanti d’Agricoltura di Trieste e Venezia, dove iniziò a scrivere dei racconti che la Casa d’Arte “Ariel” di Milano raccolte in un volume nel 1939 col titolo “Atmosfere crepuscolari”.
A 17 anni fu segretaria della Federazione giovanile comunista di Trieste. Durante la Prima Guerra mondiale divenne socialista e nel 1919 si iscrisse al partito; in seguito aderì al Partito Comunista.
Sposatasi, nel 1928, con Carlo Gruber, direttore del settore commercio estero dell’Azienda Conserviera Arrigoni e colto amico di Saba, ebbe due figlie Anna (1929) e Marta.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale uscì dal Partito Comunista e fondò a Turriaco, dove si era trasferita tra il 1936 e il 1937 nella casa dei Bosma, la sezione del Partito Socialista di Unità Proletaria Quando, nel 1947, il Partito Socialista Italiano si alleò con il partito Comunista, Aurelia aderì al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, in seguito denominato Partito Socialista Democratico Italiano, fondato da Saragat, aprendo una sezione di tale partito. Sempre a Turriaco fondò nel 1946 una Cooperativa operaia per i lavoratori edili.
Nel 1949, alla morte dei genitori, si trasferì nuovamente a Trieste andando ad abitare prima ad Opicina, poi a Duino e si dedicò alla libera professione e operò nel campo culturale per dare voce alla sua città; infatti animò con impegno le attività del Circolo della Cultura e delle Arti e riprese, nel settembre del 1951, la pubblicazione di “Umana”, la rivista fondata dal padre Silvio. L’attività svolta nel periodico “Umana” è valsa ad Aurelia la nomina a socia della Sociétè Europeènne de Culture.
Nel 1975, quando si prospettò per Trieste la pace del Trattato di Osimo, partecipò alla fondazione della Lista per Trieste, con cui nel 1978 ricoprì ruoli di responsabilità sia nell’Amministrazione Comunale (negli anni ’70-’80 fu Assessore alla Cultura) che al Parlamento, dove fece parte del gruppo misto e lavorò nella Commissione Trasporti dell’VIII legislatura.
Aurelia Benco Gruber visse i suoi ultimi anni nella sua villa-albergo di Duino dove morì il 15 settembre 1995, poco dopo aver compiuto
novant’anni.