«Legato al letto in manicomio. Così hanno ucciso mio figlio»

Tossicomane, ai domiciliari, era stato arrestato perché era uscito con la fidanzata

Parma, la madre del giovane morto in cella: imbottito di psicofarmaci

DAL NOSTRO INVIATO
PARMA — Giuseppe Saladi­no, detto Geppo, 32 anni, elet­tricista, tossicomane in cura al Sert e ladruncolo, crollato di schianto in una cella del car­cere di Parma, dove era stato portato poche ore prima, ave­va il terrore della galera. Scri­veva lettere disperate alla ma­dre Rosa e alla fidanzata Anna­lisa, lui condannato a un anno e 2 mesi per aver scassinato al­cuni parchimetri del centro: «Aiutatemi, ho paura, qui c’è gente terribile, assassini, rapi­natori, mi sento guardato, non riesco a dormire…». Era sempre sul chi vive: «Ho preso l’abitudine di anda­re per ultimo a fare la doccia, aspetto che gli altri siano usci­ti, speriamo…». E quando poi l’avevano trasferito dal carce­re di Parma all’ospedale psi­chiatrico di Reggio Emilia, dia­gnosticandogli «uno scom­penso psichico in disturbo psi­cotico », il terrore era diventa­to panico. «Mi raccontava — afferma il legale della famiglia, Letizia Tonoletti — che lo tenevano ‘contenuto’, cioè legato, oltre a sottoporlo ad un trattamen­to di psicofarmaci. L’hanno cu­rato come se fosse un pazien­te psichiatrico, ma lui non lo era e per questo avevo chiesto di ricoverarlo in un ospedale civile, ma inutilmente…». Ottenuti gli arresti domici­­liari, Geppo è evaso. Solo po­che ore (l’hanno ripreso subi­to), sufficienti però, così ipo­tizzano gli inquirenti, per tor­nare al vecchio vizio della dro­ga: una dose, magari anche piccola, ma che potrebbe esse­re stata fatale per un organi­smo già debilitato dagli psico­farmaci. Non ci sono ancora indaga­ti nell’inchiesta per omicidio colposo aperta dal pm Rober­ta Licci. E nemmeno risposte sull’improvvisa scomparsa di Geppo. I verbali della questu­ra parlano di «overdose da stu­pefacenti ». La direzione del carcere di Parma di «arresto cardiaco».

 Giuseppe Saladino, 32 anni, a casa con la madre (foto Raffaele Capoferro)
Giuseppe Saladino, 32 anni, a casa con la madre (foto Raffaele Capoferro)

 

Il legale della famiglia è inve­ce convinto che «i medicinali prescritti all’ospedale psichia­trico, che Giuseppe ha conti­nuato regolarmente a prende­re anche dopo aver lasciato la struttura, abbiano avuto un peso nel decesso». L’unica pi­sta che sembra scartata è quel­la del pestaggio o dei maltrat­tamenti. L’attenzione degli inquiren­ti è concentrata sull’iter carce­rario al quale è stato sottopo­sto il giovane per capire se era compatibile con il suo stato di tossicodipendenza: dall’effetti­va necessità del trasferimento all’ospedale psichiatrico, alla congruità della terapia di psi­cofarmaci, fino ad eventuali la­cune o sottovalutazioni da par­te della componente sanitaria.



La madre del ragazzo, Rosa Martirano, non si dà pace, ne ha per tutti: «Mio figlio era sa­no, me l’hanno ridato morto. Non era un assassino, solo un ladro di polli… Mi devono spiegare perché l’hanno man­dato in quel manicomio (l’ospedale psichiatrico di Reg­gio, ndr.), è lì che me l’hanno rovinato: quando l’ho rivisto era sempre intontito, assente, terrorizzato…». Le ultime ore di Geppo so­no un mix di incoscienza e in­genuità. Il 6 ottobre scorso, dopo aver scontato una parte della pena, ottiene gli arresti domiciliari. Arriva a casa e do­po un’ora ecco comparire la sua fidanzata Annalisa. I due abbandonano l’appartamen­to, non si sa quanto consape­voli di commettere il reato di evasione. Quando tornano, ci sono i poliziotti ad aspettarli. Geppo viene prima portato in questura e poi di nuovo in car­cere. Nella notte muore. Il mondo della politica, già scos­so dal caso Cucchi, torna ad in­terrogarsi. I radicali chiedono al ministro Alfano un’ispezio­ne nel carcere di Parma. La Cgil parla di «situazione intol­lerabile ». I dipietristi annota­no amari: «La morte di Cucchi non è servita a niente».

Francesco Alberti
12 novembre 2009 (ultima modifica: 13 novembre 2009)

Fonte: Corsera