Cantiere impresa sociale

C’è chi parla di flop, chi di occasione mancata, chi di una norma che è stata abbandonata a se stessa. SocialJob (in edicola con Vita) prova a fare il punto a tre anni dal varo della nuova legge, guardando i numeri del registro delle imprese

Agli uffici di Infocamere si rilevano soltanto 27 imprese sociali iscritte alla speciale sezione L del Registro delle imprese. Ma spulciando il database online (www.registroimprese.it) di imprese con denominazione “sociale” ne risulterebbero 370, di cui tra le 100 e le 150  effettivamente “di nuova generazione” secondo la legge 155. Dove sta la verità?

Solo tre Camere di commercio – Rimini, Pisa e Livorno – hanno messo online guide all’iscrizione per le nuove forme giuridiche e che l’unico sportello informativo, aperto alla Ccia di Latina, ha chiuso per mancanza di fondi. Il risultato è un clima di confusione che colpisce gli stessi diretti interessati.

Ancor più curioso è il dato sulla tipologia di attività condotte dalle nuove forme giuridiche. La quasi totalità rientrerebbe nella categoria delle scuole paritarie, ex srl, snc o imprese individuali, che tra il 2007 e il 2008 hanno cambiato lo statuto, adeguandosi alle direttive della 155/2006.

E il terzo settore? Finora sembrerebbero pochissime le associazioni e gli enti non profit che hanno scelto di cambiare statuto. In più, nella maggioranza dei casi il passaggio è stato imposto da direttive regionali e, comunque, vissuto con non poca perplessità.

Insomma, l’impresa sociale sinora ha tutta l’aria di un’occasione non colta. Forse perché, come dice Paola Menetti, presidente di Legacoopsociali, intervistata da Giuseppe Frangi, «sembra che a nessuno interessasse davvero farla decollare. A partire dal legislatore. Quella dell’impresa sociale alla fine ha l’aspetto di una bella opzione molto condivisa, ma di cui in pratica pare che nessuno sentisse davvero il bisogno. La legge istitutiva è stata approvata da una maggioranza larghissima, ma poi nella legge sta scritto precisamente che non deve esserci alcun costo per le casse dello stato, e questo ha fatto pensare che in realtà non si stava investendo granchè sulla promozione di questo nuovo soggetto». Eppure, come scrive Vilma Mazzocco, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative, nel suo editoriale, proprio in questo momento di crisi «lo strumento “impresa sociale” consente di coalizzare nuove alleanze, di realizzare progetti multidimensionali, di interesse generale, di “riallocare” in forma non estemporanea risorse locali per sostenere la risposta a nuovi bisogni.  Senza ulteriori indugi dobbiamo contribuire a definire un’agenda di politiche attive per l’impresa sociale non perché conviene ma perché è uno strumento utile, anche per la cooperazione, per organizzare nuove energie mutualistiche e nuove generosità e per comporre un nuovo paradigma di sviluppo».

Fonte: Vita.it